Lockdown locali e misure restrittive: in Europa scoppia la rivolta del popolo
Il copione è sempre lo stesso, e inizia sempre così. Il bollettino giornaliero attraverso il quale le autorità sanitarie diffondono i dati aggiornati sullo stato della pandemia di Covid-19, gela l’opinione pubblica. Improvvisamente i nuovi casi superano qualsiasi livello di guardia. Nel giro di 24 ore i positivi raddoppiano. Gli esperti, lavorando su numeri e modelli statistici, iniziano a fare previsioni: “Se continua così il sistema sanitario va in tilt”.
Il messaggio viene recepito dai vari governi che sono costretti a prendere provvedimenti drastici. Poco importa se i malati scottati dalla seconda ondata di Sars-CoV-2 sono per lo più asintomatici e se i decessi sono nettamente inferiori rispetto alla scorsa primavera. Dal momento che stiamo parlando di un virus ancora in gran parte sconosciuto, nessuno vuole assumersi rischi inutili.
E così l’extrema ratio di presidenti e primi ministri coincide con misure restrittive. Che a loro volta coincidono con lockdown “annacquati” o mascherati. Tutti si guardano dal pronunciare quella parola, “lockdown”, che nella mente dei cittadini richiama i momenti terribili della scorsa primavera. Eppure proprio di quello si tratta, quando quartieri o città vengono trasformate in zone rosse.
La rivolta del popolo
Se la curva epidemiologica impone ai governi di attuare strette più o meno forti per limitare la corsa del virus, allo stesso tempo, leggendo i principali valori economici, è difficile immaginare uno Stato che scelga di affidarsi a un secondo lockdown completo e su scala nazionale. Al netto della reale utilità di questa strategia (il tema è ancora molto dibattuto), molti governi hanno attuato e stanno attuando serrate su scala locale.
Detto altrimenti, anziché chiudere l’intera nazione, si scelgono di bloccare soltanto le aree più critiche dal punto di vista sanitario. Impensabile fare altrimenti, visto e considerando non solo lo stato dell’economia globale, affossata dalla pandemia in modo serio, ma anche la tenuta mentale dei cittadini. Eppure, nonostante le misure più soft varate dai governi, in molte città abbiamo assistito a feroci proteste. Da Parigi a Praga, da Londra a Berlino passando per Melbourne, in Australia, Madrid e Gerusalemme: la rabbia del popolo è esplosa di fronte all’annuncio di possibili nuove strette, in quella che alcuni commentatori hanno definito, forse esagerando, “guerra civile Covid“.
Il caso di Manchester
Dietro alle proteste si nasconde in realtà un disagio più grande. Uno dei casi più emblematici è avvenuto a Manchester, nel Regno Unito, dove il sindaco laburista Andy Burnham si è letteralmente scagliato contro Boris Johnson. Ricordiamo che il premier inglese ha annunciato restrizioni su tutta la nazione su tre livelli. In altre parole, l’Uk è stata suddivisa in zone a seconda dei dati epidemiologici. Nelle aree che rientrano nel primo livello restano in vigore le regole già in vigore nel Paese, ovvero limite massimo di riunioni a sei persone e chiusura alle 22 per i pub. Il secondo livello prevede invece il divieto di incontri al chiuso tra nuclei familiari diversi. L’ultimo livello, quello “molto alto”, risponde a misure più ferree: mescolamento sociale proibito, divieto di incontri anche in casa e chiusura di pub e ristoranti.
Nel terzo livello rientrano le città di Liverpool e, appunto, Manchester. Proprio a Manchester, come detto, è incorso un braccio di ferro tra il sindaco dell’area metropolitana di Manchester e il governo centrale. Il signor Burnham lo ha detto chiaramente: la sua comunità non è né sarà “l’agnello sacrificale” di Londra. Tradotto: prima di accettare le nuove misure anti Covid, Johnson dovrà dare garanzie. Come ha riportato la Bbc, Burnham ha spiegato che il massimo livello di restrizioni andrebbe a penalizzare attività commerciali come pub, palestre e bookmaker, cioè “luoghi in cui le persone hanno salari bassi”. È necessario che il governo, anziché pensare a politiche locali “punitive”, ragioni su un piano di sussidi e supporto all’economia. In quel caso, allora, potrà anche esserci una “tregua” su scala nazionale. Guai a parlare di lockdown.
il giornale.it