La ragione e la potenza del mito: appunti per un’interpretazione del fascismo
Non passa giorno, soprattutto negli Stati Uniti ma anche in Europa, in cui non si parli di fascismo, interrogandosi se il mondo stia forse ritornando in quella direzione. E’ il New York Times stesso, con cadenza regolare, a informare i lettori del dibattito storiografico in materia.
Il fascismo fu una rivoluzione conservatrice?
De Felice, Nolte e Sternhell sono come noto i tre grandi storici del fascismo. C’è indubbiamente della polemica politica contingente in questo dibattito ma, d’altra parte, gli stessi storici citati hanno in certi casi mutato posizione in base al contesto politico. Si pensi a Renzo De Felice, verso cui gli italiani dovrebbero avere quella gratitudine che purtroppo non vediamo, avendo egli mirato in continuazione alla pacificazione interna e al superamento della guerra civile. Ebbene, se nella famosa Intervista rappresentava il movimento fascista come una manifestazione della “sinistra rivoluzionaria” o neo-risorgimentale, nella monumentale biografia mussoliniana finiva più realisticamente per considerare il fascismo come una rivoluzione conservatrice europea.
Tale giudizio fu pure quello di Carl Schmitt, in fondo, per il quale tanto il fascismo italiano quanto il falangismo tradizionalista spagnolo si caratterizzarono come le rivoluzioni conservatrici del ‘900. Nolte stesso non fu esente da spostamenti di paradigma e cambiamenti di prospettiva: la iniziale sintesi storiografica del ‘900 come “epoca del fascismo” diverrà successivamente l’epoca dei soli nazismo e bolscevismo che si sarebbero contesi il dominio mondiale. Nello storico tedesco, eccezionalmente informato quanto alla Rivoluzione russa e alla storia del nazionalsocialismo, vi è però una scarsa conoscenza della dottrina del fascismo.
Rivolta contro l’illuminismo
Lo stesso Zeev Sternhell esagera, come gli è stato da più parti rimproverato, l’influsso della destra francese di fine Ottocento sulla formazione di Mussolini leader del fascismo. Nonostante ciò l’intuizione sternhelliana che rappresenta in definitiva il fascismo come la vittoria concreta della “mitologia politica”, del conservatorismo mitico, ma storicista e progressivo, di una ideocrazia tradizionale, ma pragmatista e realistica, sul razionalismo illuministico e scientifico rimane probabilmente la più brillante ed avanzata teoria sul fascismo che la storiografia antifascista abbia prodotto. La filosofia politica storicista, conservativa-eroica e antilluminista di Vico e di Benedetto Croce è per il nostro un motivo ideologico fondamentale della grande rivolta fascista contro il progressismo e lo scientismo egemoni da circa tre secoli. Contro l’Illuminismo. Dal XVIII secolo alla Guerra Fredda, importante saggio sternhelliano, è al riguardo senza dubbio un grande classico sulla rivoluzione conservatrice europea, ben più de La tentazione fascista di Tarmo Kunnas caro a De Felice. Perciò il Croce ideologo neo-vichiano degli anni ’10 e ’20, con le sue note tentazioni antisemite e con il suo attacco radicale alla “mentalità massonica” della sinistra laicista liberalistica, è per lo storico israeliano al tempo stesso il Maurras e il Sorel della destra conservatrice italiana: lo statista è tale, nel pensiero crociano, se conservatore rivoluzionario, se incarnazione dell’anima nazionale, altrimenti è di fatto un mero burocrate o un economicista socialista. La Scuola di mistica fascista vide non a caso nello storicismo antiprogressista di Vico, ben diverso dal progressismo neo-luterano di Hegel, la filosofia precorritrice del fascismo.
La dottrina del fascismo
Ciò che va comunque rimproverato sia alla storiografia sia ai polemisti contemporanei è che, se si sforzano di delucidare il progetto leninista alla luce degli scritti del rivoluzionario marxista, quello nazista alla luce del Mein Kampf, quello liberale alla luce di Locke e Hobbes, non fanno lo stesso con il regime fascista. Mussolini annunciò infatti al mondo quale fosse la strategia del fascismo, attraverso il suo scritto La dottrina del fascismo, corsi universitari di storia e dottrina del fascismo furono la base della vita politica del regime nella formazione pedagogica delle nuove generazioni. Augusto venne descritto come il primo fascista della storia, un concetto che ha fatto riflettere il marxista Canfora; Cicerone, Vico, Guicciardini, Machiavelli, Savonarola furono oggetto di notevoli e agguerriti corsi scientifici. Nel prezioso saggio citato emerge tra l’altro il nodo concettuale fondamentale: vi si annuncia esplicitamente il “secolo della destra” come concezione dello Stato ideocratico antagonista “del mito della felicità e del Progresso indefinito” (II, 7), “il secolo di destra” come secolo della “democrazia organizzata, centralizzata, autoritaria”, conservativa e corporativistica, negazione assoluta delle astratte e utopistiche ideologie illuministiche: socialismo, democraticismo, liberalismo, tre varianti di una medesima ideocrazia progressistica e scientifica (II, 9).
Nel 1934, dinanzi all’assemblea quinquennale del regime, Mussolini afferma la grande battaglia storico-spirituale tra le due grandi correnti: democrazia, socialismo, liberalismo e massoneria da una parte (illuminismo franco-kantiano e materialismo marxista), destra conservatrice rivoluzionaria dall’altra. “La Dottrina” conclude sottolineando l’universalità della dottrina del fascismo che rappresenterebbe spiritualisticamente “un momento della storia dello spirito umano” (II, 13). Tale universalismo da un lato avrebbe dovuto significare “risorgimento imperiale” italiano, dall’altro, fatto ben più significativo (II, 6), offensiva globale contro le ideologie razionaliste ed illuministiche.
Uno scontro epocale
La grande faglia, la grande frattura storica contemporanea che Mussolini prevede non è tra comunisti e anticomunisti, marxisti rivoluzionari ebrei e antisemiti, liberali e antiliberali: il grande conflitto sarebbe tra un conservatorismo storicistico fondato sul mito e sull’antirazionalismo e l’ideologia pseudoevoluzionistica-scientifica della sinistra laicista egemone.
Roma declinava la guerra civile europea e mondiale su basi non etnico-culturali geopolitiche (scontro di civiltà) né classiste (lotta di classe) ma ideocratiche: anti-progressiste, mitico-conservatrici e storiciste. Sternhell parla a tale riguardo del fascino segreto e della sorprendente attualità della dottrina fascista. Lo stesso “statalismo” pedagogico fascista diventa un mezzo verso il fine, la civiltà anti-materialistica e anti-utilitarista del lavoro, e quelle che De Felice considera una serie di rotture di paradigma (leggi razziali, Repubblica sociale italiana) non sarebbero state invece per Sternhell che mutamenti tattici d’un medesimo e coerente fine dottrinario: ultraconservatore e antiprogressistico.
Il fascismo è finito nel 1945?
Che questo messaggio ideocratico fascista sia immediatamente scomparso dopo il 1945, come sostiene il De Felice, lascia effettivamente più d’un dubbio. Di certo, la stesso recentissima teoria dello Sternhell che fa tout court del conservatorismo antilluminista della Russia di Putin e delle democrazie europee di Visegrad o dell’ultratradizionalismo dell’iraniano Ahmadinejad delle forme di nuova destra fascista avrebbe meritato da parte del pensatore israeliano un maggior e più ragionato approfondimento. E’ d’altra parte anche vero che l’ultra-progressismo occidentale delle varie sinistre rivoluzionarie post o neo-sessantottine costituisce oggi in Europa il punto storico, post-modernista, di più radicale affermazione di quel messianismo neo-illuministico e scientista che fu la bestia nera del fascismo mussoliniano. Il sociologo russo Sorokin avvertì decenni fa che l’Europa occidentale sarebbe andata in rovina non per il “progresso tecnologico” ma per il sovversivismo ideologico della sinistra nichilista globalista e laicista.
Mikhail Rakosi