Pescatori italiani in Libia, imbarazzante Di Maio: “Serve basso profilo, ho chiesto aiuto alla Russia”
Un mese e mezzo, tanto e passato dal giorno in cui i pescatori italiani sono stati sequestrati dalle milizie del generale Khalifa Haftar al largo delle coste libiche. Ed è sempre da un mese e mezzo che i nostri marittimi sono reclusi in Libia senza che il governo giallofucsia sia riuscito a compiere passi concreti per riportarli a casa. Una vicenda sempre più umiliante per l’Italia, che ha visto nei giorni scorsi proteste di piazza, familiari dei marittimi siciliani incatenati davanti a Montecitorio e richieste di chiarimenti al ministro degli Esteri anche interne alla maggioranza parlamentare. Oggi, durante il question time al Senato, finalmente Luigi Di Maio si è degnato di pronunciarsi.
Basso profilo e silenzio generale
Peccato che lo abbia fatto in modo tanto imbarazzante quanto preoccupante: “La delicatezza del contesto ci richiede di perseguire l’obiettivo di riportare i 18 marittimi italiani detenuti in Libia senza iniziative clamorose o di propaganda, ma con quel basso profilo che vicende del genere richiedono. Comunque, i marittimi siciliani stanno bene, non sono detenuti in un carcere e non hanno contatti con altri detenuti“, ha dichiarato il ministro pentastellato. E cosa aspettava a far sapere che non si trovano in carcere? “Il nostro corpo diplomatico e l’intelligence esterna sono al lavoro. Il low profile della Farnesina è segno di responsabilità”, ha precisato Di Maio. Tutto comprensibile e pure per certi versi condivisibile (battute a parte sullo scontato “low profile” dell’ex capo M5S), se non fosse che un militare che controlla una porzione della Libia ci sta ricattando da 45 giorni e in realtà il governo italiano sia costretto a chiedere aiuto ad altre nazioni per risolvere lo stallo.
Di Maio si appella alla Russia
Questo significa che l’Italia ha perso tutto il peso specifico che aveva fino a poco tempo fa nella sua ex colonia e che non riesce a fare la voce grossa neppure con la Cirenaica. Perché di questo parliamo, di una regione libica martoriata da guerra e crisi economica, non di una potenza estera che non intende venirci incontro. Prova ne è che dopo aver chiesto aiuto agli Emirati Arabi Uniti, durante l’audizione a Palazzo Madama Di Maio ha dichiarato che il suo ministero si è attivato per chiedere alla “Russia di usare la propria influenza diretta” sul generale Haftar per liberare i pescatori italiani. Una frase che si può altrimenti leggere così: l’Italia non ha più influenza in quel territorio, dunque siamo costretti a implorare il Cremlino. Già, e dire che non stiamo parlando di una repubblica centro-asiatica sorta dalle ceneri dell’Urss, ma della “quarta sponda italiana”.
Astuto tempismo
Una richiesta oltretutto da “zitti e Mosca”, perché non solo Di Maio si è appellato alla Russia, ma chiede anche di mantenere discrezione su questa vicenda. A suo avviso parlarne troppo potrebbe mettere a rischio i negoziati. Avrebbe senso se fossero passati pochi giorni dal sequestro, adesso appare come una scusa per non essere incalzato. Come se non bastasse, sempre oggi, il ministro degli Esteri italiano ha pensato bene di far sapere – in un’intervista a Repubblica – che durante l’incontro a Mosca con l’omologo russo ha consegnato a Sergej Lavrov questo messaggio: “Ci aspettiamo un’inchiesta approfondita che chiarisca il prima possibile le cause del tentato omicidio di Navalny”. Quando si dice l’astuto tempismo: nello stesso giorno da un lato chiede una mano alla Russia, dall’altro la stuzzica così.
Eugenio Palazzini