La delazione come metodo di governo, ovvero la fine del concetto di Stato

Ricordate ancora gli slogan che il Governo e la classe giornalistica intellettuale filogovernativa mandava agli italiani nel periodo più difficile dell’emergenza?
“Andrà tutto bene”, “ce la faremo”, “ne usciremo migliori”. Se per andare tutto bene ed uscirne migliori il Governo intendeva trasformare gli italiani in un esercito di ipocondriaci delatori – incapace di analizzare più approfonditamente i dati riportati dai bollettini medici- tacciando di “negazionismo” non solo quella parte di popolazione che ha un’opinione diversa sul come affrontare l’emergenza, addirittura arrivando a minacciare di morte quei virologi che si oppongono alla narrazione mainstream – allora, probabilmente, le cose stanno andando per il meglio.

La fine del concetto di Stato

Nella bozza del DPCM che uscirà nelle prossime ore vi sarà il divieto di organizzare feste private con un numero di partecipanti superiore a 10 persone al di fuori del nucleo familiare. Ieri sera, a Che tempo che fa di Fabio Fazio su Rai 1, il ministro della salute Roberto Speranza ha chiarito –dopo la domanda di Fazio sul come far rispettare questo provvedimento- che conterà sulle segnalazioni, e che i controlli aumenteranno.
Dopo aver criminalizzato in primavera i “runner” e chi portava il cane troppo lontano dall’abitazione, e vigilato sulla movida sotto le spoglie dei tanto discussi assistenti civici, gli spioni vengono di nuovo utilizzati come garanti della salute pubblica. Adesso chi fino ad oggi ha accusato di complottismo chi osava definire la realtà degli ultimi mesi una dittatura sanitaria, dovrà ricredersi.

In questo scenario al limite della distopia, che ha spinto qualcuno a coniare il termine “Covid 1984”, è doveroso fare una  considerazione: usare la delazione come metodo di governo rappresenta la fine del concetto stesso di Stato. Infatti questa pratica, diffusa nei regimi autoritari, soprattutto in tempi di guerra, serviva per identificare il nemico in una situazione di crisi, ovvero quando lo Stato non ha il pieno controllo della situazione e quindi incapace di assolvere quella sua prerogativa fondamentale di difesa del cittadino. Questo clima è lo specchio della crisi sociale provocata dal confinamento e dalla crisi economica conseguente. Una crisi sociale che vedrà nelle prossime settimane vicini spioni che, magari per vendicare screzi passati, impediranno, soprattutto ai giovani, di poter avere un briciolo di normalità, quei rapporti sociali che sono l’essenza del concetto di comunità e carattere fondamentale dell’essere umano in quanto zoòn politikòn.

Una fase 1 mascherata

La limitazione alle feste private – insieme al divieto del calcetto e sport di contatto vari e al divieto di sostare davanti a bar e ristoranti – presenti nelle bozze circolate nelle ultime ore del nuovo DPCM, sono una netta inversione ad U rispetto alle quote di libertà lentamente conquistate dopo il lockdown. Un vero e proprio ritorno verso la fase 1, che però difficilmente coinciderà con un secondo lockdown, pena la tenuta dell’ordine pubblico dell’intera nazione. Lampante in tal caso è il commento di Diego Fusaro, che ha usato il termine “pademia yo-yo”, cioè partire da una privazione di libertà totale (lockdown), passando per una fase 2 in cui si riacquistano diritti per poi tornare alla fase iniziale. Tutto ciò con la motivazione dell’aumento dei contagi degli ultimi giorni (che però andrebbero analizzati anche dal punto di vista dei virologi non catastrofisti) per giustificare lo stato d’emergenza perdurante, difatti prolungato fino a gennaio dell’anno prossimo.

Riccardo Natale

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