La comunità internazionale ha abbandonato le donne curde
La narrazione del quasi decennale conflitto siriano si è spesso concentrata sul miglioramento della condizione delle donne nei territori controllati dalla minoranza curda, presente principalmente nella zona nord-est e in parte nord-ovest del Paese. Sui media si è parlato a lungo delle giovani combattenti delle Ypj, le forze di difesa curde tutte al femminile diventate un simbolo della resistenza dal basso contro i miliziani dell’Isis e più in generale della ricerca di libertà e autonomia delle donne in Medio oriente.
Le combattenti, così come le attiviste e le politiche impegnate nella lotta contro il fondamentalismo e il patriarcato, sono state spesso elogiate da politici e rappresentati delle istituzioni internazionali, ma sono state presto dimenticate. L’attenzione mediatica nei loro confronti è iniziata a scemare già un anno fa con la fine dello Stato islamico quale entità territoriale e un ulteriore velo di silenzio è sceso su di loro a seguito dell’invasione turca del nord-est della Siria.
L’operazione Primavera di pace condotta ad ottobre del 2019 dalla Turchia ha creato una zona cuscinetto al confine tra i due Stati a spese dell’Amministrazione autonoma della Siria del nord-est e dei suoi abitanti, in maggioranza curdi. Delle violenze perpetrate durante l’intervento militare e delle violazioni dei diritti tuttora in corso nell’area si parla raramente, per evitare di creare imbarazzo a quelle nazioni – Stati Uniti in primis – che hanno permesso al presidente Recep Tayyip Erdogan di agire impunemente.
Da quando la Turchia ha preso il controllo della fascia di confine nel nord-est, la vita degli abitanti della zona e soprattutto quella delle donne ha subito un drastico peggioramento. A dettare legge sono i miliziani dell’Esercito nazionale (NSA) e altre formazioni estremiste filo-turche, il cui compito è anche quello di liberare l’area dalla presenza curda. La minoranza presente nella zona di confine è infatti percepita dalla Turchia come una minaccia e Ankara vorrebbe pertanto ripopolare la de-esclation zone con i profughi siriani (musulmani) scappati in territorio turco durante il conflitto.
Per far sì che tale progetto possa essere portato avanti, le milizie che governano l’area hanno privato i residenti dei loro diritti e creato un clima di terrore che – come confermato da un recente rapporto dell’Onu – ha colpito principalmente le donne. Il dossier delle Nazioni Unite sottolinea come queste ultime siano state il bersaglio di “azioni di intimidazione portate avanti dai membri dell’Nsa” in tutta la fascia nord che va da Afrin, nell’ovest, fino a Tel Abyad, nell’est. “Donne e ragazze sono state anche messe in carcere dall’Nsa, violentate e abusate sessualmente, causando loro danni fisici e psicologici a livello sia personale che comunitario”. Chi subisce violenza sessuale infatti viene molto spesso isolato dal resto della società a causa dello stigma sociale associato allo stupro e al “disonore” che colpisce la famiglia e la comunità di appartenenza.
Il report dell’Onu ha anche evidenziato come le violenze e gli abusi contro le donne siano generalmente aumentati nella prima metà del 2020 rispetto agli anni precedenti. Un caso emblematico resta quello di 30 donne violentate nel solo mese di febbraio da miliziani filo-turchi a Tel Abyad, nel nord-est della Siria. Gli abitanti della città intervistati dalle Nazioni Unite e scappati durante il conflitto hanno inoltre affermato di non voler far ritorno alle loro case proprio per paura di subire violenze sessuali o altri abusi da parte delle brigate presenti nell’area. Tra i casi segnalati dall’Onu ci sono anche quelli di alcune donne curde e yazide costrette a sposarsi o a convertirsi all’islam, mentre continua a crescere il numero delle ragazze rapite nella zona di Afrin, secondo quanto segnalato dal Missing Afrin Women Project.
A finire nel mirino dei miliziani filo-turchi sono soprattutto le donne impegnate in politica e le attiviste per i diritti umani, il cui ruolo attivo nella società contraddice tutto ciò in cui questi combattenti credono. Lo stesso omicidio di Hevrin Khafal, segretaria generale del Partito della Siria del Futuro, altro non è stato che un messaggio lanciato dai combattenti alle donne siriane per costringerle ad abbandonare ogni lotta per i propri diritti. Ciò che viene spontaneo chiedersi alla luce di questi dati è: dove sono adesso tutti coloro che tanto lodavano le donne e le combattenti della Siria del nord-est?
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