Borsa Italiana: un’altra (s)vendita ai francesi targata Pd
Alla fine è passata la linea sostenuta dal ministero dell’Economia: Borsa Italiana doveva essere francese e francese sarà. Qualsiasi altra ipotesi – cordata italiana, magari con sostegno pubblico, inclusa – non è mai stata presa in considerazione. Così un’altra realtà strategica – gestisce, fra le altre cose, MTS, il mercato dei Titoli di Stato – della nostra economia passa di mano. E lo fa finendo, ancora una volta, in mani transalpine.
Un’altra vendita ai francesi
Non che si potesse parlare di “italianità” di Piazza Affari, intendiamoci. Borsa Italiana era già sotto controllo straniero dal 2007, quando si fuse con la sua omologa (ma sensibilmente più grande) di Londra dando origine al London Stock Exchange Group. Quest’ultimo è però finito – dopo l’acquisizione della società di analisi dei dati Refinitiv – sotto gli occhi dell’antitrust, che le ha imposto di cedere la divisione milanese per avere il via libera al perfezionamento dell’acquisizione. Da qui la necessità di trovare una qualche collocazione per Borsa Italiana. Alla fine l’ha spuntata Euronext, colosso paneuropeo nato dalla fusione tra le borse di Parigi, Amsterdam e Bruxelles e che, nel corso degli anni, ha incorporato anche le piazze di Lisbona e Dublino. Non si trattava dell’unica ipotesi in campo ma, come detto, era quella più caldeggiata dal ministro Gualtieri in persona, che ha schierato l’artiglieria di Cassa Depositi e Prestiti (in tandem con Intesa Sanpaolo) per dare consistenza all’operazione.
Borsa Italia perderà la sua autonomia
Se dunque non andiamo lontano dalla verità a dire che tramite Cdp abbiamo, di fatto, finanziato la cessione di un asset strategico, poco ci manca. Vero che la nostra Cassa avrà il 7,3% di Euronext (quota pari alla sua omologa francese) e nominerà un amministratore del consiglio di vigilanza – il quale dovrà, da statuto, avere però il via libera da parte delle autorità questa volta olandesi – ma allo stesso tempo Parigi non ha mai fatto mistero delle sue mire e dei suoi atteggiamenti quando si tratta – mai dimenticare il refrain di Enrico Cuccia – non di contare, bensì pesare le azioni. Basti guardare alla voce Fincantieri o, più recentemente, alla vicenda della sedicente “fusione paritaria” (che paritaria non è) tra Fca e Psa. Tanto più che, da anni, proprio la Francia sta conducendo una vera e propria campagna acquisti ai nostri danni: in un modo nel quale la guerra per l’informazione è sempre più cruciale, assicurare ai transalpini un accesso privilegiato a dati finanziari sensibili della nostra industria non è forse il miglior viatico. Teniamo presente che centinaia di piccole e medie imprese, alcune di assoluta eccellenza, stanno per sbarcare nei vari mercati gestiti a Piazza Affari: un boccone prelibato, pronto sul piatto?
Nonostante le rassicurazioni, insomma, è assai probabile che Borsa Italiana perderà l’autonomia sin qui assicurata dai precedenti proprietari. Indipendenza che sarebbe stata garantita anche dagli altri pretendenti. Prendiamo il caso degli svizzeri di Six, che gestiscono la borsa di Zurigo e quella di Madrid, a cui è lasciata ampia libertà di decisione in termini gestionali. Si sarebbe trattato comunque di una cessione sempre all’estero, da qui la domanda: perché non è mai stata presa in considerazione l’ipotesi di una cordata nazionale? Magari capitanata da quelle stesse Cassa Depositi e Prestiti e Intesa: servivano almeno 4 miliardi per “strappare” Borsa Italiana, non un impegno finanziario insostenibile. Eppure quest’opzione non è nemmeno stata ventilata, neanche timidamente. Ringraziamo allora per l’ennesima cessione all’estero il ministero di stretta osservanza Pd. Il fatto che i suoi esponenti facciano collezione di legioni d’onore francesi è ovviamente solo un caso.
Filippo Burla