Pescatori italiani, la minaccia di Bengasi: “Nessun rilascio, verranno processati in Libia”
Umiliante per la nostra nazione, drammatica per i pescatori sequestrati e i loro familiari. E’ questa, in estrema sintesi, la triste diapositiva di una vicenda che dovrebbe scuotere politica e opinione pubblica. Perché da 35 giorni otto pescatori italiani (non diciotto come inizialmente trapelato, visto che altri dieci sarebbero di altre nazionalità) sono detenuti a Bengasi, prigionieri di un generale che controlla una porzione della Libia, senza che il governo giallofucsia sia riuscito a compiere concreti passi avanti per il loro rilascio. Da stamani in tutta Italia molti consiglieri comunali e regionali stanno chiedendo al governo di intervenire. “Liberate i pescatori italiani” era la frase che questa mattina campeggiava sugli striscioni affissi in un centinaio di città italiane. Sacrosanto, anche entro il mese di ottobre, salvo auspicabili svolte diplomatiche, con tutta probabilità i nostri connazionali sequestrati dalle milizie di Haftar subiranno pure un processo. La Procura militare di Bengasi li accusa infatti di ingresso clandestino nelle acque territoriali della Cirenaica.
“Saranno giudicati secondo la legge libica”
“I pescatori italiani saranno sottoposti a un procedimento da parte della Procura generale competente e saranno giudicati secondo la legge dello Stato libico“, ha dichiarato ieri Khaled al-Mahjoub, portavoce dell’autoproclamato Esercito nazionale libico durante un’intervista rilasciata a Quarta Repubblica. Un’accusa farlocca da parte di un’autorità non riconosciuta a livello internazionale che riesce però a tenere in scacco l’Italia. Soltanto questo basterebbe a inquadrare l’inettitudine del governo Conte e in particolare del ministro Di Maio, incapace di compiere la benché minima azione di deterrenza. Non parliamo neppure di influenza, perché quella, in Libia e in particolare in Cirenaica, ce la siamo giocata da tempo. A Quarta Repubblica, il portavoce di Haftar ha dichiarato che “le condizioni di salute (dei pescatori italiani, ndr) sono ottime”, visto che “è noto a tutti che noi abbiamo cura dei nostri detenuti. Hanno buon cibo, li trattiamo nel rispetto dei diritti umani”.
Il bluff libico
Ci auguriamo vivamente che sia così, ma è altrettanto evidente che il rispetto dei diritti umani non è propriamente la prerogativa più celebre della Cirenaica. Dunque la preoccupazione resta forte e aumenta di giorno in giorno. “Mi risulta che abbiano avuto modo di avere dei contatti con i loro familiari”, ha poi dichiarato al-Mahjoub. Peccato che i familiari dei pescatori italiani dicano il contrario: “Da 16 giorni non abbiamo la possibilità di poterli sentire al telefono”, hanno detto a monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo che tiene contatti con un funzionario della Farnesina e li ha voluti incontrare per assicurargli la vicinanza della Chiesa.
Il portavoce di Haftar, nell’intervista rilasciata al programma condotto da Nicola Porro, ha ribadito che i nostri connazionali sequestrati “sono sotto indagine, ma non gli succederà niente al di fuori di quanto prevedono le procedure di legge. Voglio chiarire che noi non arrestiamo nessuno se non viene violata la legge e i marinai italiani hanno violato le acque territoriali ed economiche della Libia. La verità che il popolo italiano dovrebbe conoscere è, che questa non è la prima volta, ci sono state numerose precedenti violazioni”.
Merce di scambio
In realtà le autorità di Bengasi vorrebbero utilizzare i pescatori siciliani come merce di scambio e chiedono il rilascio di trafficanti libici condannati in Italia. “Non esiste nessuna dichiarazione ufficiale in tal senso”, ha detto al-Mahjoub. “Però possono esistere degli accordi riguardanti lo scambio tra detenuti o tra persone condannate. Il Governo italiano ha contattato il nostro comando generale, sicuramente abbiamo discusso della questione. Si tratta di questioni legali, quindi è difficile che si risolva in pochi giorni”. Un modo volpino per non smentire le richieste avanzate all’Italia e far intendere al contempo che i libici non sono disposti a rilasciare i pescatori senza una contropartita.
Eugenio Palazzini