Nagorno-Karabakh, l’avanzata jihadista è un grosso problema per l’Europa
La guerra nel Caucaso continua e si fa sempre più aspra, soprattutto nel roccioso “giardino nero” del Nagorno-Karabakh. Soprattutto, perché in realtà tra coprifuoco e mobilitazione generale sta coinvolgendo due intere nazioni che da sempre si guardano in cagnesco. Nelle ultime ore, stando a quanto riferito stamani dal ministero della Difesa dell’Azerbaigian, le truppe di Baku hanno occupato una serie di alture strategiche sulla linea di contatto tra i due eserciti.
L’Azerbaigian avanza
“Nella notte e alle prime ore del mattino di oggi, venerdì 2 ottobre, le ostilità sono proseguite in diverse aree del fronte. Ad Aghdara le nostre truppe hanno liberato le alture occupate intorno a Madagiz e hanno preso il controllo di questo punto. Nella direzione Jabrayil-Fizuli, le nostre truppe hanno rotto la resistenza del nemico, lo hanno costretto a ritirarsi e sono riuscite ad avanzare“, ha fatto sapere il ministero della Difesa azero. Nella stessa nota viene specificato che i militati dell’Azerbaigian hanno “preso il controllo dell’area del fronte a Murovdag”. Quest’ultimo non è altro che il Monte Murov, la cui cima raggiunge i 3.343 metri, e fa parte dell’omonima catena montuosa che separa l’Azerbaigian dal Nagorno-Karabakh. E’ dunque un’area altamente strategica, il cui controllo stabile può determinare le sorti del conflitto. Quindi per Baku, se la notizia dovesse essere confermata, si tratterebbe di un primo importante passo per l’occupazione dei territori contesi con Erevan. Sempre stamani l’Armenia ha annunciato di aver abbattuto un aereo e un drone azerbaigiani.
Guerra per procura?
Mentre il mondo osserva con il cannocchiale – e senza troppo scomporsi – questo tremendo conflitto nel cuore del Caucaso, a cavallo tra Europa e Asia, la situazione sta insomma precipitando. In molti si limitano a parlare di “guerra per procura”, ma nella fattispecie il quadro è ancora più complesso. C’è con tutta evidenza un ruolo attivo della Turchia, che sostiene militarmente Baku e ha reclutato jihadisti in Siria mandandoli a combattere in Nagorno-Karabakh. C’è senz’altro dall’altra parte un supporto, per quanto al momento piuttosto blando, della Russia nei confronti di Erevan. Eppure l’atavico scontro etnico e religioso, unito alle rispettive rivendicazioni territoriali, è da anni una bomba ad orologeria che prescinde dal ruolo più o meno aggressivo di certe potenze.
Il ruolo delle grandi potenze
Ieri i presidenti di Russia, Stati Uniti e Francia hanno rilasciato una dichiarazione congiunta esprimendo un cessate il fuoco immediato tra l’Azerbaigian e l’Armenia. Parole in apparenza equilibrate, con qualcuno che si è chiesto perché siano intervenute direttamente soltanto queste tre nazioni. E’ presto detto: guidano la co-presidenza del Gruppo di Minsk, struttura dell’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) creata nel 1992, che ha il precipuo scopo di promuovere una soluzione pacifica e negoziata proprio dei decennali scontri in Nagorno-Karabakh. Del gruppo fanno però parte anche altre nazioni: Bielorussia, Germania, Italia, Portogallo, Paesi Bassi, Svezia, Finlandia e Turchia. Ma ci sono, ovviamente, anche Armenia ed Azerbaigian. Di qui l’attendismo equilibrista delle suddette potenze.
Un problema per l’Europa
Con l’eccezione del presidente francese, che ieri ha fatto intendere di non gradire l’aggressività di Baku, confermando una notizia che avevamo riportato su questo giornale il 27 settembre scorso. “La situazione è grave”, ha detto Macron, “disponiamo di informazioni certe che combattenti siriani jihadisti hanno raggiunto” l’area del Nagorno-Karabakh. Ecco, il punto è proprio questo, c’è il forte rischio che questa terra caucasica diventi una sorta di base terroristica con armi puntate contro una nazione a maggioranza cristiana e abbandonata a se stessa. L’Europa non può stare a guardare.
Eugenio Palazzini