“Era una spia cinese”. Una talpa nella polizia di New York?
È stato arrestato con l’accusa di essere una spia del governo cinese e aver lavorato al soldo di Pechino per sorvegliare i sostenitori statunitensi del movimento indipendentista tibetano. Baimadajie Angwang, cittadino americano naturalizzato dal Tibet, era un agente di polizia di New York. Secondo una denuncia penale presentata al tribunale federale di Brooklyn, il 33enne avrebbe lavorato dal 2018 come agente per la Repubblica Popolare cinese. L’uomo avrebbe risposto direttamente al consolato cinese di New York.
È questo l’ultimo caso di spionaggio che scuote il turbolento asse sino-americano, ben presto riportato dai media di tutto il mondo. Nell’accusa non viene sostenuto che Angwang abbia compromesso in qualche modo la sicurezza nazionale o le operazioni del dipartimento di New York. In ogni caso, l’agente, attualmente in carcere senza possibilità di uscire su cauzione, è stato considerato “una minaccia interna”, per usare le parole di William Sweeney, capo dell’ufficio newyorkese dell’FBI. La nota del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti parla chiaro: l’uomo è accusato di aver agito come agente straniero non registrato per “aver riferito a funzionari del governo (cinese ndr) in merito alle attività dei cittadini cinesi nell’area di New York e per aver sviluppato fonti di intelligence all’interno della comunità tibetana negli Stati Uniti”.
Una spia cinese?
Angwang, oltre a essere un agente della polizia di New York, era anche un sergente dello staff della Us Army Reserve a cui, tra l’altro, era stato concesso il nulla osta di sicurezza niente meno che dal Dipartimento della Difesa. Secondo l’accusa, e scendendo nel dettaglio, il suo lavoro come spia per la Cina (non certo il primo caso negli Usa) era quello di “individuare potenziali fonti di intelligence” e “identificare potenziali minacce per la RPC nell’area metropolitana di New York”, affermano i documenti del tribunale. Ci si aspettava anche che fornisse al consolato “l’accesso agli alti funzionari della polizia attraverso inviti a eventi ufficiali”.
Questa la storia personale dell’uomo: Angwang ha lavorato in un distretto della polizia di NYC nel Queens come collegamento con la comunità. Prima di ottenere la cittadinanza, sottolineano le agenzie, ha chiesto asilo sostenendo di essere stato arrestato e torturato in Cina, a causa della sua etnia tibetana. Un gruppo di difesa, International Campaign for Tibet, ha dichiarato che l’arresto mostra che il “Partito Comunista Cinese è impegnato in operazioni maligne per sopprimere il dissenso, non solo in Tibet ma in qualsiasi posto al mondo in cui i tibetani sono liberi di esprimersi”.
Soldi e legami ambigui
Secondo quanto evidenziato dal South China Morning Post, il fratello di Angwang starebbe attualmente prestando servizio come riservista presso l’Esercito Popolare di Liberazione cinese. Come se non bastasse, nel periodo compreso tra il 2014 e il 2016, i conti dell’uomo avrebbero ricevuto quasi 120mila dollari di bonifici provenienti dalla Cina. Tra questi bonifici ve ne sarebbe uno di quasi 50mila dollari proveniente direttamente dal fratello. Non solo: nel 2016 Angwang avrebbe inviato 100mila dollari al parente oltre Muraglia, in aggiunta ad altri 50mila dollari a un altro individuo non meglio identificato.
Il portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin, ha ragliato corto affermando che le accuse americane nei confronti dell’agente sarebbero “fabbricate”. “Il complotto degli Stati Uniti per diffamare deliberatamente il consolato cinese negli Stati Uniti non avrà successo”, ha quindi aggiunto Wang. Certo è che quanto accaduto rappresenta per Washington l’ennesimo campanello d’allarme. In attesa di scoprire cosa riveleranno le indagini, è indubbio come lo spionaggio cinese sia riuscito, nel corso degli ultimi anni, a creare più di un problema alla Casa Bianca. Il caso del signor Angwang potrebbe essere soltanto la punta dell’iceberg.
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