L’allarme del Pentagono per l’arsenale nucleare cinese
Il primo avviso era giunto dal Bulletin of Atomic Scientist a luglio dell’anno scorso, quando in un rapporto si affermava che “la Cina sta continuando il suo programma di modernizzazione dell’arsenale atomico cominciato nel 1980 schierando un numero mai visto prima di armamenti nucleari di diverso tipo”, successivamente la Dia, la Defense Intelligence Agency statunitense, avvisò che all’attuale rateo di produzione Pechino arriverà almeno a raddoppiare il numero delle testate con anche la possibilità di raggiungere le 600 unità entro la fine del prossimo decennio. Ora il Pentagono, nel suo rapporto al Congresso Usa “Military and security developments involving the People’s Republic of China” certifica l’intenzione del Politburo cinese di arrivare a implementare le capacità tecnologiche del suo arsenale nucleare e di raddoppiarne la consistenza entro 10 anni.
La strategia della Cina è quella di raggiungere “il grande ringiovanimento della nazione cinese” entro il 2049 e può essere definita come una determinata ricerca della modernizzazione politica e sociale che include sforzi di vasta portata per espandere il potere nazionale cinese, perfezionare i suoi sistemi di governance e rivedere l’ordine internazionale col fine ultimo di riportare la nazione in una posizione di forza, prosperità e leadership sulla scena mondiale.
Un obiettivo annunciato per la prima volta dal segretario generale Xi Jinping nel 2017 e messo nero su bianco nel suo “Governare la Cina”, un volume che oltre a rappresentare il piano programmatico del leader cinese, rappresenta anche una sorta di sua autobiografia. Sebbene il Partito Comunista Cinese (Pcc) non abbia definito cosa significhi avere un sistema militare di “livello mondiale”, nel contesto della strategia nazionale della Rpc è probabile che Pechino cercherà di sviluppare un esercito entro la metà del secolo che sia uguale – o in alcuni casi superiore – alle Forze Armate statunitensi, o a quelle di qualsiasi altra grande potenza che la Cina considera una minaccia.
I leader del Pcc hanno sempre riconosciuto che incrementare la forza militare (ed economica) della Cina potrebbe infiammare le tensioni con le altre nazioni qualora non vi fosse un’attenta gestione di questo processo. La risoluzione di questo “dilemma”, sin dai tempi di Deng Xiaoping, è fare in modo che la Cina nasconda le proprie capacità e aspetti che giunga il tempo giusto. Una strategia che riflette benissimo l’attitudine derivante da un impero millenario come è stato quello cinese.
Nel 2019, la Cina ha riconosciuto che le sue Forze Armate dovrebbero assumere un ruolo più attivo nel portare avanti la sua politica estera, evidenziando il carattere sempre più globale che Pechino attribuisce alla sua potenza militare.
La strategia militare cinese si basa sulla “difesa attiva”, ovverosia un concetto che adotta i principi della difesa strategica in combinazione con l’azione offensiva a livello operativo e tattico. La difesa attiva non è né una strategia puramente difensiva né limitata alla difesa territoriale, bensì comprende aspetti offensivi e preventivi.
In questo contesto l’arsenale nucleare cinese, e la sua dottrina di impiego, assume un ruolo di primissimo piano. Nel 2019, come si legge nel rapporto del Pentagono, sono infatti stati avanzati importanti piani di modernizzazione a lungo termine per migliorare la “deterrenza strategica”. Si stima che, attualmente, i circa 180/190 vettori a disposizione di Pechino possano trasportare 220 testate anche del tipo Mirv, ovvero veicoli di rientro multipli indipendenti. Le Forze Missilistiche cinesi (abbreviate in Plarf nel loro acronimo anglosassone) continuano a sviluppare e schierare un’ampia varietà di missili balistici mobili tradizionali lanciati a terra e missili da crociera. Sappiamo che si stanno sviluppando nuovi missili balistici intercontinentali (Icbm) che miglioreranno in modo significativo le forze missilistiche nucleari e soprattutto si prevede che il numero di testate sugli Icbm in grado di colpire gli Stati Uniti crescerà ulteriormente sino a raddoppiare nei prossimi anni.
Per completezza diamo ora una sguardo a quella che è la consistenza e alle caratteristiche delle Forze Missilistiche cinesi (convenzionali e non), per comprendere meglio quelle che sono le preoccupazioni statunitensi.
L’arsenale convenzionale delle Plarf includono il missile balistico a corto raggio (Srbm) CSS-6 (definito anche DF-15) con una gittata di 725-850 chilometri; il CSS-7 (DF-11) un altro Srbm da 600 chilometri; il CSS-11 (DF-16) accreditato di più di 700 chilometri oltre che varianti da attacco terrestre e anti-nave del missile balistico a medio raggio (Mrmb) CSS-5 (DF-21) che ha circa 1500 chilometri di portata. Restando nel campo dei Mrbm si ricorda il DF-26 (circa 4000 chilometri) che è stato soprannominato il “killer delle portaerei” per via della sua parziale possibilità di manovrare nelle fasi terminali del volo.
Per quanto riguarda i sistemi da crociera nell’arsenale cinese sono compresi il Glcm (lanciato da terra) CJ-10 (DH10) capace di colpire a circa 1500 chilometri e la sua variante aerotrasportata, il CSS-5 Mod 5 (DF-21D) che permettono di condurre attacchi di precisione a lungo raggio contro navi e obiettivi terrestri.
Per i sistemi strategici basati a terra il Pentagono prevede che l’arsenale di missili balistici intercontinentali aumenti parallelamente al numero di testate. Attualmente sembra che vi siano circa 100 missili di questo tipo tra cui il CSS-3 (DF-4) a corto raggio, il CSS-4 Mod 2 (DF-5A) basato in silo e il Mod 3 (DF-5B) dotato di Mirv che è in grado di trasportare fino a cinque testate. I media cinesi suggeriscono che un successore del DF-5C potrebbe essere in fase di sviluppo. I missili mobili della famiglia CSS-10 a combustibile solido completano questa forza. Il CSS-10 Mod 2 (DF-31A), con un’autonomia di oltre 11200 chilometri, può raggiungere la maggior parte delle località degli Stati Uniti continentali. Sembra anche che anche sia in fase di sviluppo una versione migliorata, denominata DF-31B. Per quanto riguarda altri sistemi “pesanti” lo sviluppo del CSS-X-20 (DF41), un nuovo missile balistico intercontinentale mobile con capacità Mirv, è continuato nel 2019 e la Cina ha fatto sfilare almeno 16 lanciatori di questo vettore durante la parata del 2019. Si ritiene che la Cina sembri prendere in considerazione ulteriori opzioni di lancio del DF-41, tra cui il trasporto su rotaia e il silo.
La dottrina cinese di impiego dell’arsenale nucleare risente della sua consistenza: Pechino, per il momento, punta sulla capacità di effettuare un attacco di ritorsione credibile. Questo si riflette in due filosofie: il no first use ovvero il non ricorre ad un attacco nucleare per primi e la spasmodica ricerca della capacità, per l’arsenale, di sopravvivere al primo colpo avversario.
Questo ha comportato una postura tattica che potremmo definire “di minima allerta”, in quanto le forze nucleari (almeno quelle basate a terra) non hanno le testate montante sui missili in circostanze normali.
Il rapporto del Pentagono è supportato da diverse evidenze: innanzitutto l’aumento del budget per la Difesa da parte della Cina, che sale a 178,2 miliardi di dollari, secondariamente l’attività sospetta in siti nucleari che lascerebbe supporre che si stiano conducendo dei test sulle testate.
Per quanto riguarda il bilancio, sebbene sia una frazione rispetto a quello statunitense, bisogna sempre ricordare che il potere di acquisto è diverso per nazioni diverse, pertanto il costo di un missile balistico intercontinentale in Cina è notevolmente più basso rispetto a quello negli Stati Uniti.
Si capisce bene, pertanto, la ferrea volontà della Casa Bianca di includere la Cina nel futuro trattato Start e perché oltre Atlantico si cominci a pensare a scenari in cui si prende in considerazione l’incremento del proprio arsenale nucleare. Riteniamo, infatti, che un aumento esponenziale del numero delle testate nucleari della Cina insieme al progresso tecnologico che le metterà in grado di essere più precise e in grado di penetrare le difese Abm statunitensi, porterà inevitabilmente a un cambio della dottrina di impiego dell’arsenale atomico da parte di Pechino.
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