Il pasticcio nelle carceri. Agenti feriti da detenuti, 100 boss a casa
La paura del coronavirus non è del tutto svanita ma di certo negli ultimi due mesi si è attenuata in modo deciso. Eppure, sono ancora tanti i boss del crimine organizzato rimasti ai domiciliari per il rischio contagio nonostante il decreto Bonafede che doveva riportarli in cella.
La vicenda ha avuto il suo inizio lo scorso 21 marzo a seguito di una circolare con la quale il Dap chiedeva ai direttori dei penitenziari di segnalare i detenuti ultra-settantenni, senza però distinguere tra quelli ancora pericolosi. Il documento, in tempi di emergenza sanitaria, fu interpretata come una sorta di via libera alla scarcerazione dei più malandati per cercare di evitare che si creassero possibili focolai negli istituti di pena. Il risultato, però, è stata la liberazione di centinaia di detenuti, tra i quali bossi di primo piano della malavita organizzata, mandati a casa a scontare la pena.
Come ricorda Repubblica, ad inizio maggio il ministro Bonafede era intervenuto con un decreto per fermare le scarcerazioni. Ma sono ancora tanti, 112 su 223, i detenuti che sono ancora fuori dalle celle. Tra questi, ad esempio, vi è Pino Sansone, ex vicino di casa di Totò Riina, che ha ottenuto gli arresti domiciliari a fine aprile ed è ancora . Stesso beneficio gode l’ergastolano Ciccio La Rocca, lo storico padrino di Caltagirone su cui aveva indagato il giudice Giovanni Falcone.
Dal ministero della Giustizia cercano di vedere il bicchiere mezzo pieno e spiegano che sono “111 sono già tornati in istituto penitenziario ed è un risultato importante, il meccanismo del decreto si è rivelato decisivo perché, rispettando l’autonomia decisionale dei giudici, li ha chiamati a riconsiderare tutti i provvedimenti di scarcerazione e ha consentito di fare rientrare in carcere i boss più pericolosi”. Le celle si sono riaperte, tra gli altri, per due detenuti al 41 bis, il boss della Cupola Francesco Bonura, lo ‘Ndranghetista Vincenzino Iannazzo e Franco Cataldo, uno dei carcerieri del piccolo Giuseppe Di Matteo.
C’è un dato importante che deve essere spiegato. Lo scorso 14 magio, in commissione Giustizia, Bonafede aveva sottolineato che vi erano”498 scarcerati fra alta sorveglianza e 41 bis”. Un numero diverso da quello attualmente segnalato. La differenza è presto spiegata. Dopo le dimissioni di Franco Basentini, travolto dalle polemiche, si è insediato il nuovo vertice del Dap, gestito da due ex pubblici ministeri antimafia, Dino Petralia come capo e Roberto Tartaglia nel ruolo di vice. Il primo atto compiuto dal nuovo corso è stato quello di passare in rassegna tutti i fascicoli dei boss andati ai domiciliari. Dal lavoro è emerso che solo 223 detenuti, 102 sottoposti a misura cautelare e 121 a condanna in via definitiva, erano stati scarcerati per ragioni connesse al rischio Covid. Gli altri 275, in realtà, erano finiti ai domiciliari per “cause diverse e indipendenti dalla pandemia” come “fisiologiche cause processuali, applicazione di benefici previsti dalla legge, oppure motivazioni sanitarie pregresse, del tutto distinte dal rischio Covid”.
Al ministero ribadiscono che “è stato fatto davvero tutto il possibile per far fronte alla situazione che si era venuta a determinare”. Il decreto di Bonafede ha imposto ai giudici di fare delle rivalutazioni periodiche delle posizioni di chi ha goduto dei domiciliari. Ma vi è stato anche un intoppo come nel caso del tribunale di sorveglianza di Sassari, che era chiamato ad occuparsi del boss dei Casalesi Pasquale Zagaria. I giudici hanno sollevato una questione di legittimità costituzionale sul decreto. “L’obbligo di rivalutazione della detenzione domiciliare” previsto da Bonafede potrebbe finire per “violare la sfera di competenza riservata all’autorità giudiziaria” e dunque “violare il principio di separazione dei poteri”. Gli avvocati denunciano anche una violazione del diritto di difesa e di quello alla salute. Un caso, questo, in discussione. Nell’attesa, però, Zagaria non è tornato in carcere.
Ma la situazione carceraria non fa altro che gettare benzina sul fuoco delle polemiche. Matteo Salvini, ex ministro dell’Interno, è andato all’attacco del governo e, contemporaneamente, ha espresso la sua vicinanza a tutti gli agenti della Penitenziaria. “Rivolta nel carcere di Benevento, con 5 agenti feriti, celle in fiamme e un muro sfondato. Il tutto mentre più di 100 boss usciti di cella durante il lockdown non sono tornati in galera nonostante la propaganda del governo. Solidarietà alle donne e agli uomini della Polizia Penitenziaria: l’Italia non merita un governo così incapace e pericoloso. Chi sceglie la Lega sceglie la certezza della pena, chi sceglie il Pd preferisce le rivolte e i boss a casa”, ha affermato il leader della Lega.
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