Colpo di stato in Mali: schiaffo alla Francia. Konaré: “Ora fermiamo l’immigrazione”
“La società civile maliana, accompagnata da giovani soldati, si è alzata. Stiamo lavorando per far finire l’immigrazione, perché l’unico modo per farla finire è ridare al popolo africano la propria libertà, permettendogli così di vivere in pace sulla propria terra”. Così Mohamed Konaré, esponente panafricanista intervistato da MePiù, ha commentato il colpo di Stato in Mali. “Multinazionali e governi occidentali, la Francia in particolare, mantengono l’Africa nella fame e nella miseria. E le Ong – ha specificato Konarè – preferiscono prendere i giovani africani, metterli nelle navi e portarli verso l’Italia invece che aiutarli a tornare in Africa. Dovete capire che questa immigrazione è voluta dal sistema occidentale: per distrarvi da quello che vi stanno facendo e per cercare di creare una guerra tra poveri”. Non usa mezzi termini Konaré e distrugge così la retorica buonista.
Cosa è successo in Mali?
Ma cos’è successo davvero in Mali? Il colonnello Assimi Goita è stato dichiarato presidente dell’autoproclamato Comitato nazionale per la salvezza del popolo (Cnsp), dopo un riuscito colpo di mano. Goita fino ad oggi è stato responsabile delle forze speciali nel centro della nazione africana, regione negli ultimi anni fortemente colpita da attacchi terroristici. E’ apparso in tv nella notte tra martedì e mercoledì, annunciando la presa del potere. Un ribaltone che ha colto molti analisti internazionali di sorpresa e su cui regnano ancora molte incertezze. Il Cnsp ha fatto sapere di volere una “transizione politica civile” per condurre il Mali ad elezioni generali entro un lasso di “tempo ragionevole”. Dopo l’ammutinamento di gran parte dei militari, il presidente Keita aveva poco prima comunicato la sua “decisione di lasciare tutte le sue funzioni”.
Parole a cui hanno fatto eco quelle del colonnello maggiore Ismael Wagué: “Noi, le forze patriottiche riunite nel Comitato nazionale per la salvezza del popolo (Cnsp), abbiamo deciso di assumerci le nostre responsabilità davanti al popolo e alla storia”, ha dichiarato Wagué. “La società civile e i movimenti socio-politici sono invitati a unirsi a noi per creare insieme le migliori condizioni per una transizione politica civile che porti a elezioni generali credibili per l’esercizio democratico, attraverso una tabella di marcia che getterà le basi di un nuovo Mali“, ha detto il colonnello. Di primo acchito, sembrerebbe dunque l’ennesimo colpo di Stato in una nazione africana, condito da nobili intenzioni e promesse quasi sempre disattese.
La condanna internazionale
Nel frattempo è arrivata la condanna internazionale pressoché unanime, con il Mali che si ritrova isolato nel contesto continentale. La Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) ha sospeso a Bamako tutti i flussi finanziari, invocando sanzioni contro “i golpisti e i loro collaboratori”. Dell stesso avviso l’Unione africana che ha chiesto pure la liberazione “immediata” dell’ormai ex presidente Keita e dei suoi ministri. Mentre Angela Merkel ha assicurato che il golpe non ha avuto alcuna conseguenza sul dispiegamento dei caschi blu della missione Onu in Mali: “I soldati sono nelle loro caserme e sono molto lontani da Bamako”, ha detto la cancelliera tedesca.
Ma la reazione più attesa era ovviamente quella di Emmanuel Macron, arrivata puntuale: “Siamo estremamente attenti alla sicurezza dei nostri cittadini in Mali. Ho chiesto questa mattina al Consiglio di difesa di fare tutto in questa direzione”, ha scritto il presidente francese su Twitter. “La Francia e l’Unione Europea stanno lavorando al fianco della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale e dell’Unione Africana per trovare una soluzione alla crisi del Mali. Pace, stabilità e democrazia sono le nostre priorità. La Francia e i suoi partner sono impegnati in Mali e nella regione per la sicurezza delle popolazioni saheliane e su richiesta degli Stati saheliani”, ha detto Macron, insolitamente attendista.
Un problema per la Francia
Eppure questo colpo di Stato non può che preoccupare in particolare proprio il governo di Parigi. In Mali, ex colonia francese indipendente dal 1960, ha sempre prevalso l’egida transalpina. Oggi però è una delle nazioni più povere del mondo, fattore che ha determinato un dilagante attivista dei jihadisti dell’Isis e di al Qaeda. Proprio in funzione anti-terroristica, ma chiaramente l’intento è pure quello di non perdere il controllo di un’area geografica strategica, dal 2014 in Mali è presente l’esercito francese con l’operazione Barkhane. Quest’ultima fu voluta da Hollande e rafforzata a febbraio scorso da Macron. Oggi le truppe di Parigi contano 5.100 effettivi nel Paese africano. La Francia necessita quindi la stabilità del Mali, che da mesi era messa in discussione da continue proteste contro il governo e ha subito un’impennata a luglio quando le forze di sicurezza uccisero 11 manifestanti.
Il silenzio del governo italiano
Inutile dire però che mentre Macron e Merkel prendono posizione, Conte e Di Maio tacciono. D’altronde una nazione chiave anche rispetto ai continui flussi migratori non è una discoteca da aprire o chiudere. L’unica nota italiana è così quella della Farnesina, piuttosto vaga: “Grande preoccupazione per quanto sta accadendo in Mali, con il sovvertimento violento dell’ordine costituzionale. L’Italia auspica un rapido ritorno al dialogo di tutte le forze rappresentative del Paese e riafferma il suo impegno per la pace, la stabilità, la tutela dello stato di diritto e la lotta al terrorismo in Mali e in tutta la regione del Sahel”. Non resta dunque che auspicare l’esito ventilato da Konaré. Che insomma i maliani facciano tutto da soli.
Eugenio Palazzini