Tratta, droga, prostituzione. I violenti affari della mafia nigeriana in Italia: 47 arresti (video)
Violenza e riti tribali, giuramento di fedeltà e sottomissione per la vita. È l’atto di affiliazione con cui la mafia nigeriana ingrossa le sue file in Italia. A scoprirlo è stata la polizia di Teramo, in collaborazione con quella di Ancona, nell’ambito di una vasta operazione che ha portato a un nuovo arresto di decine di mafiosi “d’importazione” africana nel nostro Paese.
Tutti gli affari della mafia nigeriana
I fermi sono stati 47, tra centro Italia e Sicilia. Le accuse sono di associazione di tipo mafioso dedita a riciclaggio e illecita intermediazione finanziaria; tratta di giovane donne; stupefacenti; reati violenti nei confronti di aderenti ad altri cults o punitivi nei confronti di altri connazionali. L’operazione, battezzata “Pesha” dal nome della cellula mafiosa nigeriana locale, ha consentito anche di ricostruire il tipo di organizzazione e radicamento della criminalità organizzata africana nel nostro Paese.
In Italia come in Nigeria
I fermati sono affiliati della “Supreme Eiye Confraternity (Sec)” o ”Eiye”, radicata in Nigeria, ma diffusa in molti Stati europei ed extraeuropei ed equiparata per struttura e forza intimidatoria alle mafie tradizionali. I fermati, hanno spiegato gli investigatori, appartengono alla cellula che opera sulla costiera del Teramano fino ad Ancona e anche fuori dalla Nigeria replicano in tutto e per tutto gli schemi della cosca madre: la segretezza del vincolo associativo, la ritualità dell’affiliazione, l’adozione di linguaggio e simbologia rigorosi, la violenza delle azioni. Caratteristiche che si riscontano già a partire dal rito di affiliazione, che costituisce un vincolo a vita. Dalle indagini sono emersi anche casi in cui i membri del clan con la violenza hanno costretto ad affiliarsi anche soggetti che non volevano farlo.
Le violenze della mafia nigeriana
Ripetute le aggressioni fisiche documentate, a partire da quelle ai danni di giovani donne costrette a prostituirsi o di membri della cosca giudicati non sufficientemente fedeli. Proprio uno di questi, dopo aver subito un violento pestaggio, ha deciso di collaborare con gli inquirenti, che hanno fatto scattare gli arresti dopo aver scoperto i piani di fuga degli indagati, verso altri Paesi europei dove avevano contatti, come Francia, Germania, Belgio, Svezia.