Il Nord Africa riapre le “basi”. Pronto un esodo verso l’Italia

Il Mediterraneo è diventato nel corso degli ultimi anni una vera e propria “zona salvezza” per migliaia e migliaia di migranti che, dalla parte opposta,decidono di partire nella speranza di una vita migliore con rischi e pericoli annessi ad un viaggio di cui se ne conosce a priori l’esito.

Ed ecco che le rotte seguite alla ricerca di una vita migliore si distinguono in quella centrale, che ha come riferimento l’Italia, in quella orientale con la Grecia e quella occidentale con la Spagna.

Tre diverse aree ognuna delle quali è interessata dall’arrivo dei propri “dirimpettai”: in Italia si arriva attraverso la rotta libica e tunisina e in parte algerina, in Spagna attraverso la rotta marocchina, in Grecia attraverso la rotta turca.

V’è anche da dire però che la rotta orientale non esclude lo Stivale: negli ultimi anni alcuni yacht e barche a vela, partono dalla Turchia e, confondendosi con le imbarcazioni turistiche, arrivano indisturbate in Calabria, in Puglia, ma anche nella parte orientale della Sicilia. Quando si parla di rotta orientale ne emerge di conseguenza un’altra, ovvero quella balcanica. Si tratta di quel tragitto che seguono i migranti dopo essere arrivati in Grecia. Da qui infatti si dirigono verso la Germania e nel nord Europa in genere. A seguire questo percorso sono in gran parte iracheni e siriani, ma anche egiziani e cittadini di origine pakistana.Per quanto concerne la Spagna invece, va detto che in essa non confluiscono solamente i migranti che si imbattono nei viaggi via mare ma anche coloro che partono via terra nelle enclave di Ceuta e Melilla confinanti col Marocco.

Quei dati che possono ingannare

Qual è la situazione attuale dei flussi migratoriSe si osservano i dati messi a disposizione dall’Unhcr (l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati) si nota come “apparentemente” la situazione in Italia sia migliore rispetto a Grecia e Spagna

Nel territorio italiano gli arrivi di migranti contati fino ad oggi sono 6.943. Meno rispetto agli 8.453 della Spagna e ai 10.408 della Grecia. Sulla base dei numeri che emergono dal prospetto grafico sembrerebbe che l’Italia sia messa davvero bene rispetto alle altre due nazioni interessate dal fenomeno migratorio. Invece siamo di fronte ad un’illusione. Se come punto di riferimento si prendono in considerazione i dati dello scorso anno, si può notare come in questo 2020 gli arrivi in Italia siano in forte aumento al contrario degli altri due territori dove si assiste ad un importante calo di presenze rispetto al 2019.

Per la precisione lo scorso anno, nello stesso periodo, le autorità spagnole contavano 10. 500 arrivi, quelle greche 14.000, mentre quelle italiane 1.218; sono numeri che non possono lasciare indifferenti e che spingono a chiedersi cosa sia successo per determinare questo improvviso e significante incremento.

Il perché di questi numeri

A pesare sull’aumento dei migranti sbarcati lungo la rotta del Mediterraneo centrale, sono indubbiamente le dinamiche connesse soprattutto nelle tratte che hanno nella Tunisia e nella Libia le proprie basi. Da questi due Paesi del nord Africa le partenze di barconi, gommoni e navi madri sono aumentate soprattutto a partire dalla fine della scorsa estate. E se in Libia il motivo può essere più facilmente rintracciabile nella guerra ancora in corso, che rende le coste della Tripolitania meno controllabile dalle deboli autorità filo governative, diverso è il discorso che riguarda la Tunisia.

Qui non ci sono guerre, né situazioni di gravi destabilizzazioni tali da far immaginare controlli più blandi da parte delle autorità locali lungo le coste. Il problema tunisino è invece più di natura politica: Roma, nonostante i buoni rapporti con Tunisi e gli accordi che negli anni si sono succeduti per rimpatri e controlli delle coste, non è mai riuscita a richiamare realmente le autorità del Paese nordafricano alle proprie responsabilità.

C’è poi anche un altro ordine di problemi, questa volta inerente le dinamiche insite nei gruppi criminali locali. Trafficanti libici e trafficanti tunisini da qualche mese a questa parte lavorerebbero assieme per portare quanti più migranti possibili verso Lampedusa e l’Italia. Un pericolo non indifferente, sottolineato in primo luogo da alcuni report dei servizi segreti nello scorso mese di settembre. Ma riscontrabile anche negli ultimi dati emersi dagli sbarchi più recenti: a Lampedusa non sono arrivati soltanto tunisini, bensì anche persone aventi nazionalità di Paesi subsahariani. Un segno preciso ed importante che testimonia come, una volta arrivati in Libia, diversi migranti vengono dirottati lungo le coste tunisine. Da qui è più semplice raggiungere Lampedusa e la Sicilia, ci sono meno controlli e non ci sono conflitti che potrebbero compromettere l’attività criminale dei trafficanti.

Dalla Libia e dalla Tunisia dunque, le partenze sono aumentate e sono destinate ad avere numeri sempre più importanti in base a quanto previsto dai servizi segreti che preannunciano l’arrivo di circa ventimila migranti. A questo, occorre aggiungere anche le attività delle Ong, le cui navi operano maggiormente lungo la rotta del Mediterraneo centrale piuttosto che di quella orientale od occidentale.

Dopo la stagione del braccio di ferro con il governo italiano durante i mesi in cui al Viminale sedeva Matteo Salvini, da settembre diverse Ong sono potute entrare nei porti del nostro Paese senza particolari problemi, almeno fino alla chiusura ufficiale dei porti decretata il 12 aprile scorso per via dell’emergenza sanitaria. Se da un lato è vero che, a livello numerico, l’incidenza delle Ong negli sbarchi è inferiore rispetto agli approdi autonomi, dall’altro lato è altrettanto vero però che da settembre fino allo scorso aprile la ripresa costante delle attività da parte delle navi delle organizzazioni ha comunque avuto una sua importanza. E questo anche da una prospettiva marcatamente politica.

Le contromisure di Grecia e Spagna

C’è poi, a proposito di politica, un altro aspetto da considerare: ad Atene, così come a Madrid, hanno dato molta importanza all’aumento dei numeri degli sbarchi riscontrato negli anni precedenti. Per tal motivo, i due rispettivi governi hanno deciso delle linee volte a creare un giro di vite contro la prospettiva di assistere ad ulteriori impennate di approdi irregolari di migranti nel proprio territorio.

Significativo, da questo punto di vista, è il caso greco: a gennaio, difronte all’ennesima minaccia di Erdogan di aprire i confini turchi e far passare migliaia di persone verso l’Europa, l’esecutivo ellenico guidato da Kyriakos Mitsotakis ha risposto con il pugno di ferro. Più uomini lungo le frontiere del fiume Evros, più mezzi alla Guardia Costiera. Il risultato è stato quello di un ridimensionamento della minaccia migratoria attuata da Erdogan, ma anche nel numero delle persone che hanno usato la rotta orientale del Mediterraneo per arrivare in Unione Europea. Ed i numeri prima riportati lo dimostrano.

In una Spagna alle prese con l’aumento dei migranti arrivati dal Marocco, il governo socialista di Pedro Sanchez già all’inizio del 2019 ha approvato norme molto più stringenti in materia. A partire da quella che ha vietato il rilascio di autorizzazioni alla navigazione alle imbarcazioni che si occupano del salvataggio in mare. Inoltre, nelle ultime due manovre di bilancio sono diminuiti i fondi destinati all’accoglienza. Al tempo stesso, il governo del Paese iberico ha provveduto a potenziare i controlli lungo le frontiere terrestri delle enclavi di Ceuta e Melilla.

In poche parole, i vari governi del Mediterraneo hanno messo in campo diverse mosse per provare a ridimensionare la portata dei vari flussi migratori. In Italia, al contrario, da settembre ci si è limitati solo a chiedere all’Europa di intaccare un meccanismo automatico di redistribuzione degli sbarchi, mai approvato e mai ben visto in sede comunitaria. Ed anche questo sta contribuendo a dare nuova linfa alla rotta del Mediterraneo centrale.

il giornale.it

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