Cina, ritorno di fiamma della peste: un caso in Mongolia Interna

Oltre al coronavirus, la peste nera. Dopo i casi riscontrati in Mongolia nell’ultima settimana, adesso la Cina deve fare i conti anche con lo Yersinia pestis, lo stesso batterio che nel XIV secolo uccise 50 milioni di persone in tutto il pianeta.

Il ritorno di fiamma della peste è stato riscontrato nell’area settentrionale della Cina, precisamente nella regione autonoma cinese della Mongolia Interna. Secondo quanto riferisce l’emittente televisiva Cgtn, le autorità locali hanno confermato un caso di peste bubbonica.

L’infezione è stata segnalata per la prima volta come sospetta sabato 4 luglio, presso l’ospedale popolare di Urad Middle Banner, nella città di Bayannur. Il paziente è un pastore locale, subito messo in quarantena. Le sue condizioni appaiono stabili.

Nel frattempo la commissione municipale di Bayannur ha emesso un avvertimento di livello tre per la prevenzione e il controllo della peste, che durerà fino alla fine del 2020. La stessa commissione ha inoltre esortato il pubblico a rafforzare l’attenzione, visto che la città è a rischio di infezioni con la trasmissione da uomo a uomo.

Tra i suggerimenti dati ai cittadini troviamo l’invito a non consumare e cacciare animali che potrebbero causare infezioni. Le autorità hanno poi chiesto alla popolazione di riferire di eventuali scoperte di marmotte malate o morte, e di segnalare casi sospetti di peste, pazienti con febbre alta ed eventuali decessi improvvisi.

Un’area critica

Ricordiamo che appena sette giorni fa la Mongolia, al confine con la Mongolia Interna cinese, ha messo in isolamento la sua regione occidentale vicino al confine con la Russia dopo aver identificato due casi sospetti di peste nera legati al consumo di carne di marmotta.

In un secondo momento, i test di laboratorio hanno confermato che due individui avevano contratto la cosiddetta “peste della marmotta” nella regione di Khovd, Secondo i media, i pazienti, un giovane di 27 anni, Pansoch Buyainbat, e suo fratello di 17, sono in cura presso ospedali separati nella provincia di Khovd.

Nel frattempo il Centro nazionale per le malattie zoonotiche della Mongolia ha dichiarato di aver analizzato campioni prelevati da 146 persone che avevano contatti con le due persone infette e identificato 504 individui di secondo contatto.

Tornando alla Cina, il rischio più grande è che il caso riscontrato possa essere soltanto la punta dell’iceberg. L’imperativo di Pechino è uno: scongiurare nel modo più assoluto e categorico un nuovo, possibile disastro sanitario. Le precauzioni sono state pressoché imminenti.

il giornale.it

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