Friuli, l’allarme di Fedriga: “Il governo fa debiti e ci obbliga a pagare”, sull’orlo del baratro per colpa di Conte
Massimiliano Fedriga, presidente leghista della Regione Friuli possiede, politicamente, l’arte del sussurro. Perciò stupiscono, ora, la sua rabbia e il suo scatto di lombi contro il governo che gli sta creando una voragine del bilancio; e spiazza la sua dichiarazione, «se continua così dovrò consegnare le chiavi della Regione, sono a rischio i servizi essenziali: sanità, trasporti, mobilità e Comuni». Fedriga, prima apertamente in consiglio Regionale e poi in tutte le salse mediatiche possibili, sta infatti chiedendo al governo di poter sospendere il contributo straordinario del saldo di finanza pubblica annuale di 726 milioni – circa il 12,77% dell’intero bilancio della sua regione – che la stessa regione si è impegnata a pagare allo Stato dal 2011.
Il saldo di finanza pubblica è un contributo che le Regioni a statuto speciale hanno concordato di versare a Roma per il bene comune, diciamo. E il Friuli Venezia Giulia è, tra le speciali, la regione meno speciale di tutte. Non solo perché è quella che trattiene meno sulle singole imposte pubbliche in virtù delle compartecipazioni dello Stato (il 59% in media, la Val d’Aosta arriva a trattenere il 90%, la Sicilia il 70% solo sull’Irpef, per dire); ma anche perché è quella che si paga da sola sanità, trasporti, enti locali. Dunque, considerando che il contributo del “saldo” per la Sardegna è del 5,10% del bilancio, per la Sicilia del 6,3%, per la Val d’Aosta del 9% e per le leggendarie provincie di Trento e Bolzano del 9,9% e 9,8%; be’, la regione di Fedriga in effetti è, tecnicamente, la più sfigata.
«E il paradosso è che, mentre il Covid ci sta ammazzando col calo del Pil e minori entrate che calcoliamo in 700 milioni, lo Stato ci chiede lo stesso il contributo mentre lui stesso fa nuovo debito pubblico per 85 miliardi», lamenta il governatore sgranando un rosario di numeri, dati e istogrammi «cioè, quel contributo avrebbe avuto senso se anche lo Stato avesse tirato la cinghia; invece lo Stato si indebita chiedendo i soldi a noi che a malapena stiamo a galla, e attraverso un contributo che doveva essere temporaneo e che è contrario allo stesso spirito delle Costituzione».
ANTICOSTITUZIONALE
Già, perché di fatto qui lo Stato usa i soldi di una Regione Speciale per contributi assistenziali, sussidi straordinari, bonus a raffica; ma senza degnarsi nemmeno di avvertire la Regione. E secondo Fedriga il Fondo unico per Regioni ordinarie e speciali di 1,5 miliardi proposto dal governo a ristoro delle minori entrate causate dalla crisi, è una «cifra ampliamente insufficiente». Sicché, prima gentilmente e poi facendo la voce grossa, il presidente richiede che «il contributo straordinario per gli anni 2020 e 2021 sia annullato. Sarebbe palesemente anticostituzionale rischiare di non poter garantire servizi essenziali previsti ai cittadini dalla Costituzione a causa del crollo delle entrate».
E ancora ribadisce: dal 2011 «partecipiamo al contributo straordinario del saldo di finanza pubblica, ma proprio in quanto straordinario non è pensabile continuare a sostenerlo nel momento eccezionale che stiamo vivendo, poiché l’attività ordinaria della Regione rischia di non trovare finanziamento». Tra l’altro, secondo tutte le agenzie di rating, il Friuli, con i suoi soli 400 milioni di debito su 5,5 miliardi di bilancio, è considerato ente virtuosissimo. E con un debito dal contributo del saldo di finanza pubblica di 1,5 miliardi non può neanche coprire il buco che gli si va a creare perché, a differenza dello Stato, le Regioni non possono nemmeno indebitarsi con spesa corrente.
E quest’aggravante in una situazione già di per sé kafkiana, per i friulani storicamente tignosissimi sulla propria partita doppia, sta diventando un’ossessione. «Non chiediamo altri soldi, chiediamo solo che ci rimangano in tasca i nostri», continua il governatore. Qualcuno lo afferma sottovoce: ma se continua così entro tre anni il Friuli può rischiare il default, costretto a raschiare il barile del suo bilancio martoriato da una norma-paradosso e nella prospettiva dei prossimi terremoti di finanza pubblica. Ovvio che poi, anche il più mite dei leghisti, pur educatamente, s’ incazzi