Sergio Sylvestre ha fallito come Balotelli. Il messia nero degli antirazzisti ancora non c’è
Roma, 18 giu – Qui si ride e si scherza, ma quello degli antirazzisti italiani è un dramma lacerante: una pattuglia così agguerrita e motivata che cerca solo un messia, un testimonial all’altezza del suo compito titanico, e invece niente. L’ultima delusione arriva da Sergio Sylvestre, chiamato a trasformare l’inno di Mameli in una sorta di «Motherfucker of Italy» prima della finale di Coppa Italia e franato rovinosamente sull’elmo di Scipio davanti agli sguardi perplessi di mezza Italia (e a quello di Leonardo Bonucci, impietosamente ripreso dalle telecamere mentre alzava il sopracciglio dal disappunto). Una performance degna dell’Enrico Pallazzo di Una pallottola spuntata, che ha bruciato sul nascere questa maldestra marchetta a Black lives matter, brillante capolavoro della Lega calcio, che ha così completato la sua serata di gloria dopo la partita cominciata inspiegabilmente in ritardo e la grottesca coreografia posticcia a coprire gli spalti vuoti. Complimenti vivissimi.
Sergio Sylvestre ha fallito come Balotelli
E quindi niente da fare, il colored italiano destinato a redimere le recalcitranti folle italiche per portarle nell’eden antirazzista e multirazziale ancora ha da venire. Sylvestre, americano di madre messicana e padre haitiano ma italiano di adozione, anche perché la vittoria di Amici di Maria de Filippi dà più punti di italianità del passaporto, ha fallito la grande occasione. Non solo ha violentato l’inno, ma, non contento, si è anche esibito nel pugno chiuso e nello slogan del ghetto, senza riflettere sul fatto che il naufragio canoro avrebbe portato a fondo anche qualsiasi messaggio politico susseguente.
Una brutta botta, per un mondo che non si è ancora ripreso dall’implosione della supernova attorno a cui gravitavano le speranze degli antirazzisti de ‘noantri, ovvero Mario Balotelli. Era lui, l’unto della Costituzione, il prescelto. Ma anche lui ha fallito. Non una volta, sempre. Un fallimento durato anni, recidivo, continuato, ostentato, fino a che il fallimento non ha saturato tutta la bolla mediatica che gli era stata costruita attorno. E non è stato solo un fallimento sportivo o personale, ma la catastrofe di tutta un’operazione culturale. Doveva farci ricredere dai pregiudizi, e invece li ha confermati tutti. Tutti, anche quelli che non sono veri in generale ma che ha inverato lui da solo. E, nel mondo del calcio, ogni altro tentativo di trovare un sostituto è andato a vuoto: i vari Ogbonna o Okaka, pure più simpatici di Mario, non hanno avuto la fortuna sportiva che poteva renderli dei simboli, mentre il predestinato Moise Kean ha per ora dimostrato di essere l’erede di Balotelli solo nel senso deteriore dell’espressione.
Alla sinistra rimane solo Aboubakar Soumahoro
Fuori dal rettangolo verde, non resta ora che appellarsi a Aboubakar Soumahoro, il capopopolo dei braccianti immigrati. Altra pasta, ovviamente. Ma con due difetti non facilmente superabili: primo, è troppo di sinistra, fa cose fuori tempo tipo la lotta di classe, per cui l’Espresso può certamente farci una copertina per contrapporlo a Salvini, ma a lungo andare è un po’ difficile far appassionare alle sue lotte il ceto medio riflessivo, a cui qualcuno deve pur portare l’avocado nel piatto; secondo, l’uomo chiede due cose che insieme non possono stare: politiche pro immigrazione e trattamento umano per i braccianti. Ma se diamo la giusta paga, le dovute garanzie sindacali e un orario umano agli schiavi dei campi di pomodori, abbiamo di fatto abolito la schiavitù e quindi la tratta negriera non ha più senso. Ma come, Aboubakar, ti mettiamo in copertina e tu ci vuoi rovinare il giocattolo?
Insomma, il messia nero ancora non c’è. Ma i suoi profeti assicurano che la sua venuta non è affatto lontana. Amen, fratelli.
Adriano Scianca