Annalisa Chirico, Conte e la pm di Bergamo Rota: “Le vittime di coronavirus resteranno senza giustizia”
«Rifarei ogni cosa, ho agito in scienza e coscienza», con questo messaggio, ribadito in molteplici interviste, il premier Giuseppe Conte offende la memoria dei morti e l’intelligenza dei vivi. Serve ritegno, talvolta. Nel Paese che ha perduto 35mila concittadini per la crisi epidemica, il presidente del Consiglio, interrogato sulla mancata istituzione della zona rossa nella provincia bergamasca, la più colpita in proporzione alla popolazione, afferma che, tornando indietro, rifarebbe esattamente ciò che ha fatto, lui non si pente di nulla, ha agito «in scienza e coscienza». Ecco allora che l’inadeguatezza dell’uomo prende il sopravvento anche sull’incapacità del politico.
Non s’ intende con questo imbastire un processo sulla pubblica piazza né inaugurare la caccia al colpevole, esercizio che nel nostro paese eccita schiere di tricoteuse pronte ad avventarsi sul cadavere caldo. Le circostanze avrebbero però consigliato un maggiore garbo istituzionale. O, se volete, il senso della decenza. Perché i bergamaschi piangono ancora i loro defunti, eppure il premier, sostenuto dal solito caravanserraglio mediatico, non perde l’occasione di cimentarsi nell’arte dello scaricabarile. La campagna denigratoria contro la Lombardia, la Regione più colpita, ha toccato punte inaudite, con il solo obiettivo di condannare il governatore che già a fine gennaio invocava misure restrittive nei confronti delle persone provenienti dalla Cina (vi ricordate le accuse di razzismo?) mentre in altri luoghi vicini si allestivano gli aperitivi negazionisti sulla tragedia che di lì a poco si sarebbe abbattuta sull’umanità intera. Di fronte a un «incidente della Storia» siamo tutti vittime e colpevoli. Abbiamo subìto un confinamento lungo e severo: se nelle guerre tradizionali si rischia la vita per salvare la libertà, noi abbiamo rinunciato alla libertà per tentare di salvare le nostre esistenze. E non abbiamo saputo proteggere quelli tra noi più vulnerabili, gli anziani. Abbiamo appreso, di colpo, che il Parlamento è un’istituzione vintage, e se Casaleggio junior e Grillo si limitano a teorizzarlo, l’avvocato del popolo neoeuropeista lo ha dimostrato nei fatti, governando a colpi di Dpcm ed esibendo una sostanziale indifferenza per il ruolo dell’istituzione culla della sovranità popolare. Sarà che la democrazia del voto interessa ormai a pochi ma la stessa convocazione degli Stati generali appare come l’ennesima trovata mediatica per occupare il proscenio destituendo, di nuovo, il Parlamento della sua funzione fondamentale di confronto e discussione. Lo scaricabarile contro la Regione Lombardia si è rivelato un boomerang: il procuratore aggiunto di Bergamo Maria Cristina Rota ha audito il premier in qualità di persona informata dei fatti che potrebbe però diventare indagata nel caso di prosecuzione delle indagini. È infatti impossibile, Costituzione alla mano, individuare le responsabilità della mancata istituzione della zona rossa a Nembro e Alzano Lombardo senza prendere atto della competenza preminente ed esclusiva del governo centrale.
Questione di competenza – Lo hanno detto, sin dal principio, personalità del calibro di Giulio Tremonti e Sabino Cassese: l’articolo 117, secondo comma, alla lettera “q”, menziona la “profilassi internazionale” tra le materie di competenza esclusiva dello Stato. Nel dibattito viene spesso citata la legge n. 833 del 1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, che assegna sì il potere di ordinanza agli enti territoriali in materia di sanità pubblica ma riconosce pure le competenze del ministro della Salute e del governo centrale. Già l’articolo 120 della Costituzione consente al governo di sostituirsi alle Regioni in casi di grave pericolo per l’incolumità. La Costituzione è cristallina e, fino a prova contraria, essa prevale sulle leggi ordinarie. Come ha chiarito Michele Ainis, il principio che permea la normativa in vigore è che, se l’emergenza investe un territorio regionale, interviene, in prima battuta, la Regione; se ne supera i confini, tocca allo Stato. I sedici giorni di colpevole ritardo tra la scoperta del focolaio bergamasco e l’adozione delle misure restrittive si potevano e dovevano evitare. Vogliamo capire che cosa accadde tra il 3 e il 9 marzo quando il governo inviò le forze dell’ordine e l’esercito nella bergamasca ma poi l’ordine di istituire la zona rossa fu ritirato. A dispetto dei ripetuti solleciti da parte del Comitato tecnico scientifico. Lungi da noi emanare sentenze preventive, ma pretendere giustizia, questo sì.