Quella “tempesta di coaguli” che investe i malati di Covid
Il Covid-19, nei casi più gravi, può causare una “tempesta di coaguli” (trombosi) nel sangue dei coloro i quali si ammalano gravemente, dando origine ad altre complicazioni che vanno dalle eruzioni cutanee all’ostruzione di cateteri fino alla morte improvvisa.
L’albumina è determinante
Quando accadono queste situazioni, però, è stata riscontrata una bassa quantità di albumina nel sangue dei pazienti positivi al virus che è direttamente correlata alle complicazioni trombotiche. È questo il risultato di un lavoro coordinato dal Prof. Francesco Violi, direttore della I Clinica Medica del Policlinico “Umberto I” di Roma e del suo team di ricercatori che sarà pubblicato quest’oggi sulla prestigiosa rivista scientifica americana Circulation Research. Come si legge sull’agenzia Agi, questa relazione è stata confermata quando l’albumina nel sangue è inferiore al livello 35g/L, aumentando di conseguenza il rischio di trombosi arteriosa e venosa.
I risultati della ricerca
Lo studio è stato condotto su 73 pazienti ricoverati presso i reparti di Malattie infettive e di Terapia intensiva del Policlinico Umberto I ed è stato dimostrato che i pazienti Covid-19 più gravi o quelli che andavano incontro a complicanze trombotiche, avevano valori di albumina più bassi, appunto, di 35g/L.
Cos’è l’albumina
L’albumina è un’importante proteina del sangue che svolge una potente attività antinfiammatoria riuscendo a contrastare gli effetti dello stress ossidativo nel nostro organismo. Infatti, quando c’è una riduzione dei livelli di albumina plasmatica, le cellule producono elevate quantità di radicali di ossigeno portando ad una attivazione incontrollata delle cellule fino alla loro morte. “Il nostro lavoro – spiega il Prof. Francesco Violi – oltre a dare un’interpretazione, fin’ora non chiarita, del rischio trombotico dei pazienti Covid-19, apre la strada ad un’identificazione precoce dei soggetti ad alto rischio ed a nuove prospettive terapeutiche per ridurne le trombosi”.
I trombi sono delle formazioni di grasso che ostruiscono arterie e vene e, come detto prima, nei casi più gravi le conseguenze possono essere anche letali. “Andare a vedere nei malati il livello di albumina fa emergere i soggetti più a rischio – sottolinea il professor Violi al Corriere – Bisogna valutare ora l’efficacia dell’aumento del livello di albumina in questi soggetti come arma terapeutica in più per prevenire e arginare i danni causati dal virus. Questa è una nuova chiave di lettura contro il Covid-19″.
Un’altra scoperta italiana
Accanto alla notizia fresca di quest’oggi sull’albumina, è di pochi giorni fa la notizia di un’altra scoperta, tutta italiana, fatta da ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca. Come riportato dall’Agi, I ricercatori si sono concentrati su un marcatore chiamato ‘sFlt1’, prodotto quasi esclusivamente dalle cellule endoteliali che rivestono la superficie interna dei vasi e che hanno il compito di evitare l’innesco della coagulazione. I valori di ‘sFlt1’ ed, in particolare, il rapporto tra ‘sFlt1’ e ‘PlGF’ (un fattore di crescita per le cellule endoteliali), si innalzano fino a 5 volte durante il ricovero dei pazienti.
“Questo innalzamento avviene molto presto, nei giorni immediatamente successivi al ricovero” afferma Andrea Carrer, dirigente medico di Ematologia al San Gerardo. “Questa situazione non si verifica in altre condizioni patologiche, per esempio non avviene in pazienti affetti da polmonite Covid-19 negativi ed ha come unico precedente una malattia della gravidanza nota come ‘preeclampsia’ in cui l’elevato rapporto sFlt1/PlGF determina trombosi sia a livello della placenta che in altri organi”, osserva Valentina Giardini, dirigente medico ostetrico della Fondazione Mamma e Bambino, sempre situata all’interno del San Gerardo.
In questi casi, potrebbe essere molto importante l’uso precoce di farmaci anticoagulanti come l’eparina ed altri farmaci quali aspirina o sartanici, in grado di bloccare l’aumento di sFlt1.
il giornale.it