“C’è sempre una puzza asfissiante, ormai siamo prigionieri dei rom”
C’è un luogo di Roma dove il lockdown è stato più duro che altrove. A Tor Sapienza, periferia incastonata tra la via Prenestina e il Gra, non è stato soltanto l’incubo del Covid a tenere segregate in casa le persone, ma anche i fumi neri che quasi ogni giorno si sollevano dai terreni di quello che un tempo era parte dell’Agro Romano e che oggi è diventato il regno delle discariche abusive.
“È stato davvero difficile, spesso non si poteva neppure tenere la finestra aperta”, ci racconta Antonio, un anziano residente del quartiere. È sopravvissuto a un arresto cardiaco e al coma, ed ora teme di ammalarsi per colpa dei miasmi che arrivano dai cumuli di immondizia dati alle fiamme. “A volte ci sono volute giornate intere per spegnere i roghi”, assicura.
“La puzza, specialmente di sera, è veramente asfissiante”, denuncia Roberto Torre del comitato di quartiere Tor Sapienza. “In pratica – ci spiega – c’è chi si fa pagare per sversare illegalmente i rifiuti e poi gli dà fuoco per farli sparire”. “Di discariche abusive nella zona ce ne sono a decine – va avanti – e tutti lo sanno, ma nessuno fa nulla, perché si sa, quando si tratta di immondizia girano un sacco di soldi”.
Per reati connessi allo smaltimento illecito di rifiuti, anche pericolosi, il mese scorso sono finite in manette 27 persone tra Roma e la provincia di Latina. Ad essere coinvolti nel business, che in soli tre anni ha fruttato ben 16 milioni di euro, anche alcuni nomadi residenti nei campi di via di Salone e via Salviati. Eppure qui la situazione non sembra essere cambiata. Gli ingressi della baraccopoli sono guardati a vista da esercito e polizia locale per evitare che venga introdotto materiale sospetto. Ma tutt’intorno i terreni sono sfregiati da ammassi di immondizia.
C’è di tutto, scarti edili, vestiti, persino fibra di amianto lasciata alla mercé di chiunque. “Qui è un continuo – ci assicura il custode di un cantiere della zona – i rumeni, quelli che abitano nel campo, si fanno pagare per buttare la monnezza, e tutto quello che trovano lo lasciano qui”. Rifiuti che puntualmente, secondo i residenti, vengono dati alle fiamme. “Ogni giorno è sempre peggio”, ci racconta uno di loro. Preferisce rimanere anonimo per paura di ritorsioni. “È vero che non li fanno più entrare con i furgoni ma loro bruciano lo stesso, in particolare le batterie delle macchine, per tirare fuori il piombo, e così ci avvelenano”, dice puntando il dito contro gli inquilini della baraccopoli di via Salviati. Prigionieri dei roghi tossici, lo strazio di chi vive accanto al campo rom di via SalviatiPubblica sul tuo sito
Il campo, il terzo della Capitale per numero di presenze, dove vivono principalmente rom di nazionalità serba e bosniaca, è praticamente inaccessibile. Gli abitanti non vanno d’accordo con i giornalisti. A metterci in guardia sono gli agenti all’ingresso e proprio mentre scambiamo due chiacchiere con loro arriva una segnalazione. “Qualcuno ha sentito puzza di bruciato, ora andiamo a controllare”, ci dicono. Chi abita qui non ha dubbi: “Quel campo ha sempre dato problemi, non c’è altra soluzione: deve essere sgomberato”.
Un appello che sembra essere stato raccolto dalla sindaca, Virginia Raggi. Proprio nei giorni scorsi, infatti, il Campidoglio ha annunciato la pubblicazione di due bandi “per individuare i migliori enti gestori cui affidare le operazioni di superamento e chiusura per i campi di via Salviati e di via Lombroso”. L’obiettivo è chiudere gli insediamenti, dando seguito al piano per il superamento dei campi rom messo a punto dalla giunta pentastellata e iniziato con la chiusura del Camping River.
Una data ancora non c’è. Ma con lo smantellamento definitivo de La Barbuta e La Monachina che rischia di slittare, e non solo per colpa del Covid, il superamento dell’insediamento sembra una prospettiva lontana. “Nel frattempo continuano ad avvelenarci – attacca Roberto Torre – e meno male che il vento stava cambiando”. “Qui – conclude laconico – il vento ci porta soltanto puzza, puzza e degrado”.
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