La Boldrini si inginocchia per Floyd. Ma per Pamela, Desirée e gli altri italiani nemmeno una parola
Roma, 9 giu – La stavamo aspettando al varco, sapevamo non ci avrebbe deluso. E infatti eccola, l’ex presidente della Camera Laura Boldrini, esibirsi in un mirabile esercizio di affondo in ginocchio – imitata da qualche altro deputato in piena aula parlamentare – per glorificare George Floyd, l’afroamericano ucciso durante un brutale fermo della polizia di Minneapolis.
Sui ceci del white guilt
Insomma, mancavano solo i ceci. Dopo l’inchino televisivo di Myrta Merlino, che ha fatto da apripista mediatico, ecco giunto anche ai massimi livelli istituzionali italiani un simbolo di penitenza e remissione, escogitato da qualche esperto di marketing politico in America e più adatto alle funzioni religiose – quelle stesse funzioni che in genere questi personaggi guardano con disgusto, a meno ché non siano contestualizzate in qualche culto allogeno – che non a una rivendicazione di tipo «politico».
Non l’abbiamo vista inginocchiarsi per Desirée Mariottini, 16 anni, drogata, stuprata da vergine in un tugurio pieno di siringhe ed escrementi e infine uccisa da spacciatori africani nel quartiere romano di San Lorenzo; non lo ha fatto nemmeno per Pamela Mastropietro 18 anni, drogata, stuprata, presa a coltellate, sezionata mentre era ancora viva e poi abbandonata fatta a pezzi in due valigie sul ciglio della strada dal nigeriano Innocent Oseghale. Nessun pugno alzato per Ermanno Masini, Daniele Carella, Alessandro Carole’, massacrati dalle picconate frutto della furia del ghanese Adam «sentivo le voci» Kabobo, né per Stefano Leo, sgozzato a Torino dall’egiziano Said perché italiano, per «togliergli tutte le sue idee, il suo futuro, le promesse e l’amore dei genitori». Nessuno alla Camera è rimasto in silenzio per 8 minuti e 46 secondi per poi gridare «I can’t breathe» (non riesco a respirare) per David Raggi, a cui Amine Assoul detto Aziz ha pure tagliato per sempre il fiato, sgozzandolo con un coccio di bottiglia. Non si è prostrata per i morti dell’Aquila, per quelli del Ponte Morandi, per i quasi 35mila deceduti (dati ufficiali, ma sono probabilmente di più) a causa del coronavirus, loro sì veri martiri di politiche criminali che hanno ridotto al lumicino la sanità italiana. Potremmo continuare a lungo.
Ma non illudiamoci: Boldrini & company non si genuflettono per la morte di Floyd. Il loro dovere è quello di inchinarsi a quelle forze che in questi istanti stanno mettendo a ferro e fuoco le città degli Stati Uniti, utilizzando la presunta rabbia sociale per la morte di un uomo «x» come pretesto per destabilizzare lo status quo e portare avanti la consueta agenda tanto cara ai soliti noti del capitalismo globalista. Tutto spontaneo e di cuore insomma, ci mancherebbe, per nulla finalizzato al consolidamento di una narrativa antirazzista (quello stesso antirazzismo che si tramuta in pestaggi e umiliazioni riservati ai caucasici americani) e pregna di vergogna bianca e talebana nei confronti di detta bianca cultura. Che a casa nostra si chiama «civilizzazione», ma tant’è.
Cristina Gauri