Palamara salvò così al Csm l’amico Rossi, pm di Banca Etruria e consulente di Letta e Renzi
Fra le chat dell’inchiesta di Perugia che riguardano Luca Palamara, l’ex-consigliere del Csm indagato per corruzione, ci sono anche quelle, pubblicate oggi da “La Verità“, che attengono al caso del procuratore di Arezzo Roberto Rossi, all’epoca dei fatti titolare dell’inchiesta sul crac di Banca Etruria. “Durante la consiliatura del Csm 2014-2018 – racconta La Verità – uno dei casi più scabrosi fu la pratica per incompatibilità ambientale che riguardava il procuratore di Arezzo, Roberto Rossi, all’epoca titolare dell’inchiesta sul crac di Banca Etruria”. ”Il procedimento – ricostruisce il quotidiano nel suo scoop – fu aperto quando si seppe che il magistrato era consulente del Dipartimento Affari giuridici e legislativi di Palazzo Chigi (era arrivato con Enrico Letta ed era stato confermato da Matteo Renzi)”. Rossi, spiega il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, “aveva fatto parte della giunta esecutiva centrale dell’Anm quando Luca Palamara ne era presidente e il pm indagato a Perugia per corruzione, da vero amico, riuscì a far chiudere la pratica dopo una lunga battaglia”. Le cose cambiarono, prosegue La Verità, “quando Palamara lasciò il Csm“. Nell’ottobre del 2018, infatti, “il nuovo consiglio rinviò la sua conferma a procuratore. E, un anno dopo, con Piercamillo Davigo relatore, l’istanza venne bocciata”. A raccontare come andarono realmente i fatti e lo scontro che si consumò nella penombra del Csm, secondo la versione de La Verità, è Pierantonio Zanettin, deputato di Forza Italia. All’epoca, consigliere azzurro del Csm, Zanettin nella consiliatura precedente, aveva sollevato il problema del conflitto d’interessi di Rossi. “La pratica Rossi è stato uno dei miei cavalli di battaglia”, spiega Zanettin a La Verità. “Chiesi io l’apertura del fascicolo – ricorda Zanettin – quando, nel dicembre 2015, uscì un’agenzia che svelava che Rossi, titolare dell’inchiesta sulla Popolare dell’Etruria, era ancora un consulente del governo”. ”Noi lo chiamammo in Prima Commissione. Quella che si occupa di trasferimenti per incompatibilità. E lui ci disse che non conosceva la famiglia Boschi“, svela Zanettin. Da qui la scelta di andare verso l’archiviazione. “Demmo un parere favorevole all’archiviazione della pratica”, racconta ancora Zanettin. “Ma, a ridosso del plenum, venne fuori lo scoop su Panorama da cui apprendemmo che Rossi aveva indagato più volte Boschi. E che, quindi, non poteva non conoscerlo. E che a difenderlo era stato Giuseppe Fanfani. Che, in quel momento, era consigliere del Csm”. ”Riaprimmo subito il caso. – ricorda Zanettin. – E Rossi ci venne a dire che non aveva capito la domanda. E che, comunque, non aveva conosciuto personalmente Boschi senior“. Poi Zanettin, nel suo colloquio con la Verità, aggiunge un particolare. “Dopo aver risentito Rossi giungemmo a una travagliatissima archiviazione. Si trattava di un’archiviazione “vestita”, nel senso che conteneva diversi rilievi. Ma Palamara e il suo gruppo fecero passare una serie di emendamenti in aula per cancellarli tutti”. ”Io, alla fine – ricostruisce Zanettin – fui l’unico a votare contro l’archiviazione. Mentre i due relatori, Piergiorgio Morosini e Renato Balduzzi, e altri sette, si astennero perché erano state sbianchettate le critiche“. Quanto ai rilievi cancellati, Zanettin rivela: “Avevamo evidenziato che Rossi, mentre era consulente di Palazzo Chigi, aveva tenuto per sé, senza condividerlo con altri colleghi come da buona prassi, il fascicolo sul crac della Popolare aretina. Un’inchiesta che avrebbe portato all’iscrizione sul registro degli indagati di Boschi senior. E di questi possibili profili di incompatibilità Rossi non aveva informato il Csm“. “Palamara, interveniva sempre per difendere Rossi“, chiosa Zanettin nel colloquio con la Verità. “Litigai diverse volte con lui. In uno di questi scontri dissi a Palamara che lo proteggeva perché erano entrambi di Unicost. E lui si indignò rivendicando la sua autonomia. Ma oggi le chat mi danno ragione”. “Soprattutto laddove – scrive La Verità – Palamara afferma che anche se Rossi aveva fatto “cazzate su cazzate”, bisognava “salvarlo”….”.