“Posso portarti 80mila euro?” Scatta l’incubo patrimoniale
Lo spettro della patrimoniale si aggira nel Belpaese. Se ne parla da tempo. La situazione economica è delicata.
Il debito pubblico cresce mese dopo mese. E così, chi può, cerca di mandare il suo capitale lontano. All’estero. Magari in qualche banca elvetica. “Ricevo telefonate dall’Italia quasi ogni giorno. Mi chiamano perché vogliono aprire un conto che non sia in euro e vogliono mettere i soldi al sicuro, qui in Svizzera, chi per 80mila, chi per 150mila euro. Questa volta non sono milionari ma lavoratori dipendenti, anche impiegati statali”. Dal suo ufficio nel centro di Zurigo, l’avvocato Enzo Caputo, fondatore dello studio legale Caputo & Partners, cerca di spiegare al Sole 24 Ore il fenomeno che gli si è presentato davanti in queste ultime settimane. Sorprendente anche per chi da sempre si mette al servizio degli italiani che vogliono portare soldi oltre confine.
I risparmiatori sono preoccupati. Hanno paura di una possibile imposta patrimoniale e non vogliono investire il loro denaro, ma solo lasciarlo protetto in una banca sicura. Il segnale arriva proprio mentre gli italiani corrono a depositare liquidità nei loro conti correnti (16,8 miliardi di euro lo scorso marzo, il 254% in più rispetto allo stesso mese del 2019). E mentre il Btp Italia registra una raccolta record inaspettata di 22,3 miliardi.
Chi monitora i movimenti di capitali dall’Italia verso i Paesi stranieri percepisce da alcune settimane un’intensificazione dei flussi di soldi che abbandonano il nostro Paese. Una tendenza che ha riacquistato vigore in coincidenza con l’esplosione della pandemia. I soldi portati all’estero dagli italiani negli ultimi anni sono molti. Ma le voci di una patrimoniale e le iniziative di alcuni parlamentari che hanno ventilato un prelievo di solidarietà per i redditi più alti, rischiano di gettare nuova benzina sul fuoco.
Negli ultimi mesi il dibattito sul rientro dei capitali dall’estero si è intensificato. Ci sarebbero ancora circa 200 miliardi di euro dei risparmiatori italiani fuori dall’Italia. Secondo l’Agenzia delle entrate, l’ultima “voluntary disclosure” ha fatto emergere nel 2015 quasi 60 miliardi di euro detenuti dagli italiani all’estero. Quasi il 70% (circa 41,5 miliardi) erano depositati in Svizzera, il 7,7% nel Principato di Monaco, il 3,7% alle Bahamas, il 2,3% a Singapore, il 2,2% in Lussemburgo e l’1,9% a San Marino. Gran parte di questi soldi regolarizzati sono rimasti depositati oltre confine.
Nei paradisi fiscali ci sono almeno 142 miliardi di euro nascosti da contribuenti italiani. È una cifra pari a circa l’8,1% del Pil. Ma i veri numeri sono molto più alti. Dai conteggi restano esclusi, infatti, gli immobili, i contanti, le criptovalute, le opere d’arte, i diamanti, l’oro, le auto di lusso, gli oggetti di antiquariato e le polizze vita. Non poca cosa. Fabio Di Vizio, sostituto procuratore a Firenze e con grande esperienza nel contrasto all’evasione fiscale, conferma i segnali: “La mia sensazione – spiega a Il Sole 24 Ore – è che ci sia un deflusso costante di risorse. La tendenza mi sembra abbastanza marcata e netta”.
Dopo la Brexit, l’Italia è il terzo Paese nell’Unione europea per quantità di ricchezza accumulata nei centri offshore. Al primo posto c’è la Germania con 331 miliardi di euro, al secondo la Francia con 277 miliardi. Certamente negli ultimi anni, complici gli accordi sullo scambio automatico di informazioni, i paradisi fiscali sono andati un po’ in sofferenza. Secondo l’Ocse tra il 2008 e il 2019 i depositi bancari posseduti da stranieri nei centri offshore sono calati del 24%, con una perdita di 410 miliardi di dollari. Gran parte di questi fondi erano in Svizzera.
il giornale.it