L’appello di 30 medici: “Fateci fare le autopsie per capire il virus”. Ma il ministero le sconsiglia
Roma, 25 mag – Una trentina di «medici legali e anatomopatologi biochimici, anestesisti e clinici medici di Foggia, Trieste, della Sapienza di Roma, Catania, Messina e Torino» contro la circolare del ministero della Salute che sconsiglia a medici e strutture ospedaliere di compiere autopsie sui morti di coronavirus. Una misura che il professor Pomara, intervistato dal Corriere, definisce «il lockdown della scienza». E così «Abbiamo deciso di fare da soli, visto che lo Stato non vuole utilizzare le nostre conoscenze».
Cristoforo Pomara, il più giovane ordinario di Medicina legale d’Italia, dirige l’Istituto di Medicina legale di Catania ed è l’autore di un trattato di tecniche autoptiche forensi studiato in tutto il mondo. E spiega l’iniziativa: «Stiamo collezionando le autopsie fatte nei nostri rispettivi istituti, che sono poche e quasi tutte ordinate dall’autorità giudiziaria. Mettiamo assieme gruppi di ricerca, informazioni preziose, stiamo attentissimi a quello che pubblicano gli altri scienziati nel mondo e studiamo i tessuti sotto varie forme: le loro alterazioni, la biochimica, la patologia molecolare…». Lo scopo è cercare «di capire il più possibile su questo virus, più studi i tessuti più puoi intervenire meglio e velocemente».
Pomara punta il dito contro la famigerata circolare del ministero della Salute «che dice espressamente “non si dovrebbero fare”, e in sostanza questo vuol dire che chi ordina di farle, cioè direzioni sanitarie e magistrati, si assume la responsabilità in caso di contagio fra i medici. Quindi le dispongono in pochissimi». E passa a ricordare i casi di Bergamo e Milano, dove i medici, dopo essersi assunti la responsabilità di eseguire gli esami autoptici sulle vittime di Covid-19, sono arrivati a importantissime scoperte riguardo le cause delle morti dei pazienti: «quando a Bergamo hanno fatto le prime autopsie hanno realizzato che più pazienti erano deceduti a causa di trombosi e che la polmonite era una conseguenza della formazione dei trombi. Il passaggio successivo è stato ipotizzare il coinvolgimento dei vasi sanguigni. Insomma: un passo alla volta si può fare molta strada nelle conoscenze cliniche e quindi nella terapia».
Incredibilmente e nonostante le esperienze bergamasca e meneghina, la prima circolare che scoraggiava le autopsie è stata ripubblicata anche a maggio: «Sembra incredibile ma è così. Io dallo Stato mi aspetterei che si chiedesse: di cosa sono morte tutte quelle persone? Mi aspetterei che dicesse: studiamoci bene tutto, preveniamo eventuali ricadute. I morti parlano, come si dice. È successo per Ebola, per l’Aids: le autopsie hanno fatto la differenza, sono fondamentali per cercare le risposte giuste».
Per condurre le autopsie in modo sicuro, si deve disporre di camere di biocontenimento: «Stiamo spendendo una montagna di soldi per fronteggiare il virus – attacca Pomara – Ognuna di quelle sale costerà al massimo 50 mila euro, non è una spesa impossibile. Ne basta una per ogni capoluogo di provincia». E porta l’esempio della Germania: «Siamo in tempo a fare tutto. Facciamo come hanno fatto i tedeschi che sono diventati i top mondiale nelle pubblicazioni scientifiche sui risultati degli esami autoptici. Ad Amburgo, che è capofila di questi studi, le autopsie sono obbligatorie. Vogliamo dire che forse è anche per questo impegno che la Germania conta meno vittime dell’Italia?». E conclude con un appello: «Io come ricercatore — e con me il nostro gruppo dei 30 medici legali che le dicevo prima — chiedo a mani giunte di rivedere questa circolare e mettere i ricercatori nelle condizioni di poter studiare la fisiopatologia della morte, cioè la catena della morte».
Cristina Gauri