Pietro Senaldi dopo lo scandalo delle chat dei togati contro Salvini: “Peggio che con Berlusconi, tipico della sinistra”

Si dice che il pesce puzzi dalla testa. A questo proposito, ecco cosa scriveva sul telefonino l’ex capo dell’Associazione Nazionale Magistrati, Luca Palamara, messaggiando con autorevoli colleghi. L’ex procuratore di Perugia, Auriemma, gli scriveva: «Salvini è indagato per non aver permesso l’ingresso a soggetti invasori. Siamo indifendibili, indifendibili»; e ancora: «Non vedo dove il ministro dell’Interno stia sbagliando nell’impedire di entrare in Italia a chi cerca di farlo illegittimamente e non capisco cosa c’entri la Procura di Agrigento». E Palamara, ai tempi in forza al Csm, l’organo massimo della magistratura, quello che giudica l’operato e la deontologia delle toghe, anziché contraddirlo, così rispondeva: «Hai ragione, ma adesso dobbiamo attaccarlo». Per poi aggiungere, scambiandosi messaggini con un altro ex presidente dell’Anm: «Sono qui, e c’è anche quella merda di Salvini, ma mi sono nascosto».

E ancora, in un’altra conversazione, stavolta con la mamma: «Ho Salvini davanti, se ci inquadrano insieme siamo finiti». Ecco cosa pensa la magistratura dell’incriminazione del leader della Lega per sequestro di persona, un reato che prevede quindici anni di carcere. Nelle aule dei tribunali campeggia la scritta «la giustizia è uguale per tutti». Giulio Andreotti ironizzava sostenendo che quelle parole sono alle spalle della corte, così che i giudici possano amministrare il diritto senza curarsene troppo. Oggi, alla luce della corrispondenza emersa tra le toghe, c’è da chiedersi quanto il motto sia valido per il capo della Lega, e per molti altri prima di lui. Con quale spirito l’ex ministro dell’Interno può sottoporsi al giudizio di una categoria i cui vertici passano il tempo libero a dileggiarlo e quello lavorativo a combatterlo?

«Tutti pensano che Salvini abbia fatto benissimo a fermare i migranti, avanti così rischiamo di prosciugare il nostro consenso sociale» si legge nella corrispondenza di Palamara. Sono frasi illuminanti su come certe toghe interpretano la loro missione. Alcuni magistrati, non i tantissimi che fanno il loro lavoro in tribunale in silenzio, ma gran parte di quelli che pontificano e grazie ad appoggi politici assurgono a ruoli di rilievo e decidono le indagine chiave del Paese, si comportano come un partito. Attaccano il nemico a prescindere dal merito, si pongono problemi di consenso, usano il potere che hanno per perseguire interessi personali, comandati da logiche politiche o di interesse. A differenza degli altri partiti però, quello dei giudici non paga mai per i suoi errori né per i suoi doli e non deve rendere conto al Paese. Solo la sinistra più becera e ideologizzata e i suoi elettori potevano pensare che l’incriminazione di Salvini avesse basi giuridiche. Non lo credeva neppure la Procura, che ne chiese infatti l’archiviazione. Che l’indagine avesse una natura politica più che penale era evidente a tutti. Ora però sappiamo che a incriminare l’ex ministro non è stato un pm solitario che ama i clandestini e odia la Lega ma un’intera categoria e che la finalità ultima non era amministrare la giustizia bensì giustiziare il politico più popolare d’Italia la cui colpa era proprio il consenso.

STRATEGIA POLITICA
Contro Salvini la macchina della giustizia si è mossa in maniera militare e pretestuosa ancora più di quanto non abbia fatto per mettere fuori gioco Berlusconi. La cosa terrificante è che tutto questo accadeva mentre la sinistra accusava il leader leghista di violare la Costituzione e il diritto e di voler instaurare una dittatura solo per aver chiesto di andare a elezioni anticipate. Una parte della magistratura, che in teoria dovrebbe essere un potere indipendente, ha prestato la propria opera a questa narrazione. Si attende, come chiesto da Salvini, che il capo dei giudici, Mattarella, intervenga per mettere le cose a posto. Perché le conversazioni di Palamara e soci screditano tutta la magistratura e insinuano più di un legittimo sospetto su tante inchieste, presenti, passate e future, che vedono alla sbarra esponenti del centrodestra. Per un gioco della sorte, questo bubbone scoppia proprio all’indomani delle dichiarazione del vicepresidente del Pd, l’ex ministro della Giustizia Andrea Orlando, che a questo punto sembrano farsesche. Il dem ha lanciato giorni fa l’allarme, denunciando un complotto in corso da parte di grande stampa e grandi gruppi industriali per far cadere il governo. Di complotti in Italia, da sempre, se ne vedono di un solo tipo: la sinistra cavalca inchieste giudiziarie per battere il centrodestra. La magistratura si nasconde dietro l’obbligatorietà dell’azione penale, ma ogni volta che si scava, dai tempi di Di Pietro a quelli di Palamara, si fa sempre fatica a distinguere l’accusato dall’accusatore.

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