Il virus e l’incubo zone rosse: “Se corre così è un problema”
La parola magica è “chiusure selettive”, nuova formulazione che sostituirà probabilmente gli ormai noti lockdown o zone rosse. Dopo la partenza della “fase 2” in tutta Italia, avviata ormai da lunedì, gli occhi delle autorità sanitarie, nazionali e regionali, sono rivolte agli indici messi a punto dall’Istituto superiore di sanità per tenere a bada l’andamento dell’epidemia.
Governatori e governo vivono con l’incubo di trovarsi di nuovo al punto di partenza, ma la necessità di non far morire il Paese di crisi economica ha suggerito una certa accelerazione. La strategia per evitare di ricadere nel vortice epidemico incontrollato è dunque quella di eliminare l’approccio del lockdown generalizzato, che rischierebbe di paralizzare l’Italia, e di adottare la pratica delle chiusure selettive. Tradotto: se in una Regione dovesse divampare un focolaio di infezione, si agirebbe con una serrata mirata. In pratica zone rosse ristrette come quelle già realizzate a Vo’, Codogno, Medicina e via dicendo.Zona rossa a Codogno, nel Lodigiano (La Presse)
L’approccio però si basa su un assunto: che le zone rosse riescano a contenere il contagio all’interno dei confini sbarrati dall’esercito. L’esperienza insegna che a Vo’ pare aver funzionato (ma in quel caso era stato anche realizzato un tamponamento di massa), mentre nel Lodigiano i risultati sono stati meno positivi. “Questa è una delle cose su cui mi piacerebbe togliermi il dubbio – rivela una fonte nella task force della Lombardia – Nel senso che se fossi sicuro che accorgendoci in fretta riusciremmo ad intervenire in tempo e a soffocare il focolaio, allora dormirei più tranquillo di notte. Ma questa sicurezza al momento non ce l’ho”. Non è un caso se tra tutti i governatori al tavolo col premier Conte tra i più cauti ci fosse proprio Attilio Fontana. La Lombardia, secondo gli indicatori dell’Iss, presenta una classificazione di livello 3 (moderata), cioè con una “bassa probabilità di aumento di trasmissione e un moderato/alto impatto sui servizi assistenziali”. L’elevato numero di nuovi casi segnalati ogni settimana, “seppur in diminuzione”, lascia però accesa la spia di allarme. E tra i motivi c’è proprio l’incertezza sulla possibilità reale di impedire che, qualora esplodesse un focolaio nell’hinterland, si riesca ad agire in tempo prima che il virus, trasportato dalle tante persone ormai in circolazione, possa approdare a Milano.La zona rossa a Medicina (La Presse)
“La strategia sulla quale anche la Lombardia sta provando a investire – spiega la fonte – si basa in sostanza sul potenziamento del sistema di sorveglianza. Si sta cercando di arruolare migliaia di sentinelle, come i medici di famiglia e i medici del lavoro, per creare una rete molto estesa che sia in grado, appena si dovesse muovere l’infezione, di segnalarla nel più breve tempo possibile”. L’idea è quella di “permettere a questa rete di realizzare anche le prime azioni di profilassi”, un po’ come accade in Veneto: se fanno una diagnosi di caso sospetto, “lo devono mettere in quarantena” e poi comunicarlo, in modo da dare il via “a tutto il resto”. Cioè alle “chiusure selettive”. Il problema è che “questa strategia si basa sull’ipotesi” che con questa velocità di reazione “si riescano a realizzare dei piccoli confinamenti efficaci”. Ma se non dovesse bastare? Certo oggi i comportamenti delle persone sono cambiati rispetto a febbraio, quando nessuno sospettava la presenza dell’epidemia in Italia e ci si abbracciava senza temere alcunché. Ma i virologi si sono trovati di fronte a un virus con velocità di trasmissione incredibile, ben più di quanto dimostravano i modelli arrivati dalla Cina. “Spero che il contagio non sia ‘scappato’ da Codogno così in fretta da non permetterci di raggiungerlo. Spero fosse già nella Bergamasca da tempo e che lì sia venuto fuori solo perché abbiamo iniziato a cercarlo, non perché non siamo riusciti a fermarne la diffusione dal Lodigiano”, dice preoccupata la fonte. “Se invece riesce a correre così in fretta… beh: allora abbiamo un bel problema”. Vorrebbe dire che le “chiusure selettive” dopo l’esplosione di un focolaio potrebbero non risultare efficaci o tempestive.
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