Spunta la “manina” del governo che voleva affossare le Regioni
Il duello che si è venuto a creare tra governo e Regioni sul piano di riapertura graduale dopo il lockdown è stato caratterizzato da tensioni e un acceso confronto.
Il braccio di ferro è stato molto animato, con i governatori che hanno alzato la voce a più riprese: alla fine sono stati proprio loro ad avere la meglio, dopo che il premier Giuseppe Conte ha deciso di allegare al decreto le linee guida elaborate dai presidenti. L’allarme è scattato verso mezzanotte e trenta, quando il ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia viene avvertito dal suo Gabinetto. La situazione è chiara: dalla Conferenza delle Regioni hanno minacciato che l’accordo rischia di saltare.
Il titolare del dicastero di via della Stamperia corre subito dal presidente del Consiglio, ben consapevole dell’insubordinazione e della possibile figuraccia nei confronti di commercianti, ristoratori e parrucchieri che si troverebbero nella condizione di aprire senza avere però regole precise. I due si mettono immediatamente al lavoro, ma anche la nuova proposta viene respinta. A quel punto gli animi si accendono. “Basta cavilli, noi non ci stiamo”, intimaGiovanni Toti della Liguria. I governatori iniziano a lanciare frecciatine e a sfogarsi, giudicando il Dpmc “deludente” e che potrebbe far saltare tutto. L’accusa gravissima verso l’esecutivo giallorosso è pesantissima: “Avete tradito i patti”. Un attacco nato dopo aver scoperto che il testo del decreto non ingloba il protocollo unitario delle Regioni. La domanda sorge spontanea: di chi è la “manina” che ha provato a far sparire le linee guida dei presidenti?
Il sospetto
Fin dalle prime ore del giorno si viene a creare uno scaricabarile, che vede gli uffici legislativi di Palazzo Chigi finire sotto accusa di alcuni esponenti della maggioranza. Ma in realtà il sospettato numero uno dei governatori avrebbe un nome e un cognome: Roberto Speranza. Come riportato dal Corriere della Sera, il ministro della Salute (teorico della linea dura) non avrebbe risposto alle insistenti chiamate di Boccia e Conte. Come mai? Era convinto che bastasse “aggiungere nel decreto legge il richiamo al documento delle Regioni”. La tensione è notevole e l’ira esplode: “Gli accordi sulle linee guida erano altri”.
Emiliano, Fedriga, Toti, Zaia e Zingaretti continuano a farsi più di qualche domanda. Bonaccini fatica a placare la rabbia dei suoi colleghi. A smarcarsi sarebbe stato Attilio Fontana che – timoroso per i risvolti penali di eventuali aperture senza le garanzie di sicurezza – avrebbe tentato di far saltare l’intesa con il sostegno di Marsilio e Toma: “Se voi non ci esentate dal rischio Inail non ha senso riaprire negozi e ristoranti. Se invece lo Stato fissa le regole noi ci atteniamo”. Infine viene deciso di inserire il protocollo regionale sia in premessa sia negli allegati del Dpcm. E Speranza? Si sarebbe rassegnato, dando un via libera sofferto perché impaurito da una falsa partenza della fase 2. Ma non solo. “Inserire negli allegati le linee guida regionali vuol dire sconfessare quelle del Comitato tecnico-scientifico”, avrebbe tuonato a margine dell’ultimo Consiglio dei ministri.
Ore davvero movimentate e che sembrano non finire mai. Nel primo pomeriggio di ieri sono arrivati i chiarimenti da parte di Vincenzo De Luca, che ha precisato di non aver firmato l’accordo col governo: “Io non so che cosa succederà il 3 giugno. Che significa il liberi tutti se abbiamo ancora curve epidemiologiche alte in alcune parti dell’Italia? Se il contagio viene contenuto allora va bene”. Il governatore della Campania ha criticato fortemente il concetto su cui si è basato il premier Conte nel prendere le decisioni per il 18 maggio: “Ritengo che sulle norme fondamentali debba pronunciarsi il Ministero della Salute, non è accettabile che il governo scarichi sulle Regioni le decisioni”.
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