Tumori, ripartono le cure: “I malati oncologici vittime dalla burocrazia”
Ne sono morti a migliaia durante la fase uno della pandemia. Ma i malati oncologici sono a rischio pure nella fase due. E il nemico peggiore si chiama burocrazia, che rende impossibile accedere ai benefici di protezione fissati dalla legge.
La denuncia arriva da Francesco De Lorenzo, ex ministro della Sanità, ex malato oncologico e ora presidente della Federazione delle associazioni di volontariato in Oncologia: «Il decreto Cura Italia ha previsto che i malati oncologici lavoratori possono evitare di andare in azienda e la loro assenza è paragonabile al ricovero ospedaliero».
Un buon segnale, sulla carta. I problemi arrivano quando ogni interessato deve farsi rilasciare una certificazione «dai competenti organi medico-legali attestante la sua condizione di rischio derivante da esiti di patologie oncologiche». L’assenza dal servizio, inoltre, deve essere prescritta dalle «competenti autorità sanitarie» trattandosi di una misura di sanità pubblica di natura preventiva.
Uno percorso a ostacoli. Chi sono i professionisti e chi sono le autorità sanitarie? Il medico di famiglia (il referente più vicino e più documentato) non è autorizzato a rilasciare un certificato e alle Asl brancolano nel buio. Risultato. «Questa norma è una grande presa in giro. Fino ad ora nessuno è riuscito ad ottenere il beneficio spiega De Lorenzo e se in Parlamento non cambiano questa regola tanto vale abolirla». Una modifica è fattibile, usando il buon senso. «Ogni lavoratore può consegnare un’autocertificazione al proprio datore di lavoro spiega de Lorenzo – che potrà ovviamente essere documentata successivamente per consentire eventuali controlli».
Se qualcosa non cambia, dunque, si mette a rischio la salute di tanti dipendenti con fragilità anche in tempi di allentamento del virus. Per chi ha «incontrato» il cancro, infatti, il Covid-19 diventa un incubo. Ecco perché il virus va stanato immediatamente, il tampone dev’essere fatto a domicilio, per seguire il paziente da casa e il più precocemente possibile. Inoltre, va rafforzata la telemedicina e attivato l’infermiere di quartiere per agevolare il trattamento oncologico domiciliare in tutte le situazioni cliniche che lo consentono.
Insomma, per chi ha vissuto il male, cure territoriali e assistenza domiciliare sono due argini indispensabili per evitare il peggio del peggio.
E, visto che il tumore non rispetta le stagioni, bisogna riavviare gli screening di prevenzione fermi da mesi. Secondo il sondaggio Iqvia, le diagnosi e le biopsie sono state dimezzate del 52%, i ritardi negli interventi chirurgici del 64%, e sono diminuite di più della metà le visite: «Oggi anche le persone sane sono meno protette» commenta De Lorenzo. Ogni giorno, in Italia, sono circa 1000 i nuovi casi tumore e circa il 5% della popolazione (pari a circa 3 milioni e mezzo di cittadini) convive con una pregressa diagnosi di tumore.
Quindi bisogna tornare a farsi visitare e curare. Senza paura. «Invitiamo i pazienti oncologici e le loro famiglie a superare ogni riserva e a non trascurare diagnosi e trattamenti per immotivate paure di contagio» scrivono in un documento congiunto associazioni e società scientifiche di categoria (Favo, Aiom, Airo, Sico, Sipo e Fnopi Europa Donna Italia e IncontraDonna). «Nella fase 2, tutti i pazienti possono rivolgersi, con fiducia e serenità, alle loro strutture di riferimento, dove sono stati attivati protocolli specifici per la protezione dal contagio».
C’è tanta paura ad uscire, anche per andarsi a curare. Un recente studio pubblicato dalla University College London, ha stimato che la percentuale dei decessi in Inghilterra nei prossimi 12 mesi potrebbe aumentare del 20%, arrivando a 18.000 morti causate dal rinvio delle cure e dal timore dei pazienti di andare in ospedale.
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