Fca “chiagni e fotti”: paga le tasse in Olanda ma chiede aiuto all’Italia
Roma, 16 mag – Una linea di credito da quasi 6 miliardi e mezzo per superare le difficoltà legate all’emergenza coronavirus. Questo l’ammontare del prestito che, secondo indiscrezioni, il gruppo Fca starebbe negoziando con diversi istituti di credito – Intesa Sanpaolo in prima fila – al fine di accedere alle provviste del decreto liquidità.
La garanzia statale
Il decreto, varato ad inizio dello scorso mese a sostegno di quelle attività più gravemente colpite dalla pandemia, prevede per imprese con fatturato superiore ad 1,5 miliardi (o con più di 5mila dipendenti) la possibilità di beneficiare di una garanzia pubblica che può coprire fino all’80% del finanziamento. La garanzia, fornita da Sace – controllata da Cassa Depositi e Prestiti -, viene concessa a fronte dell’impegno a mantenere i livelli occupazionali e a non distribuire dividendi nell’anno in corso.
Fca: sede (e tasse) in Olanda, sussidi in Italia
L’iniziativa del gruppo ex Fiat – da tempo, tra l’altro, in procinto di cedere armi e bagagli ai francesi di Psa – non ha mancato di sollevare dubbi e perplessità. Se le garanzie pubbliche sul finanziamento sono, almeno in teoria – l’iter non è (almeno in teoria) scontato visto che prevede una serie di passaggi per venire, in ultimo, concesse tramite decreto del ministero dell’Economia -, rivolte anche alla storica realtà di casa Agnelli in quanto titolare di siti produttivi sul territorio italiano, a far discutere è il fatto che lo Stato possa essere chiamato a sostenere imprese che da tempo hanno deciso di recidere i legami con la nostra penisola.
Non parliamo ovviamente dei (pochi) stabilimenti rimasti in Italia, ma del fatto che Fca abbia anni fa trasferito in Olanda la propria sede legale. Una scelta che non sorprende: sono in molti ad aver scelto il Paese dei tulipani per beneficiare di una tassazione di favore su dividendi, royalties e altri diritti intellettuali. Si chiama libera circolazione dei capitali, è benedetta dai trattati Ue e costa alle nostre casse qualcosa come almeno 800 milioni di euro l’anno, che diventano 5,5 miliardi se si considerano tutti i paradisi fiscali in quale modo protetti da Bruxelles. Un binario morto contro il quale si sono schiantati in molti: la Commissione ha blindato tali pratiche di sottrazione di base imponibile, vietando ad esempio la possibilità che gli Stati possano legare la concessione di i sostegni pubblici sulla base della localizzazione societaria. E il decreto liquidità non fa eccezione: la Francia ci sottrare l’industria, l’Olanda le tasse, a noi restano da pagare i sussidi.
Filippo Burla