Un mostro che crea solo altri problemi
Il decreto Rilancio è un mostro burocratico di 464 pagine, diviso in 250 articoli , ossia ogni articolo è un testo prolisso di circa 2 pagine.
Ciò dà luogo a un duplice gruppo di inconvenienti: quello di una farraginosa discussione parlamentare di ciascun articolo e quello della incertezza di interpretazione e di attuazione, con nuovi ritardi e confusione. Invece, le somme da dare alle imprese per non chiudere e alle persone in difficoltà di sopravvivere debbono esser tempestive e certe. Questi due requisiti non sono assicurati. La parola «rilancio» ha un senso dinamico, qui di dinamico non c’è nulla. Come osserva Berlusconi, questo decreto potrebbe meglio chiamarsi «Ritardo», dato che in origine era il decreto di aprile e invece a metà maggio non è ancora in Gazzetta Ufficiale. Il decreto genera un nuovo debito pubblico di 55 miliardi, cioè 3,2 punti di Pil, ma solo 15 miliardi ossia il 27,3% vanno ad imprese, e quasi nulla va a investimenti produttivi, privati o pubblici, sicché la parola rilancio è del tutto impropria, per definirlo. Del resto, il governo lo ammette, in quanto annuncia che a questo scopo varerà un futuro decreto Sblocca cantieri denominato «Rinascita». La sanatoria temporanea per gli immigrati clandestini, in sé molto discutibile perché crea un precedente pericoloso, non è risolutiva perché la procedura di sanatoria richiede 2 mesi e i raccolti «non aspettano» ; inoltre una parte di questi immigrati spesso non ha le competenze specifiche per questo lavoro. A questo fine occorrerebbe riaprire le frontiere ai lavoratori stagionali dell’Est europeo. Solo 6 dei 27 miliardi per le attività produttive sono devoluti alle imprese a fondo perduto per ricostituire il capitale sociale. E l’aiuto che viene promesso, dipende da parametri di entità del fatturato, inventati dal decisore pubblico, che definisce, a suo arbitrio, il perimetro delle pmi. Invece si dovrebbero usare parametri collegati al danno generato dal coronavirus. I criteri arbitrari adottati hanno due effetti perversi: distorcono il mercato, in particolare nel confine fra impresa medio-piccola e medio-grande, e rendono rischioso l’accesso ai Fondi europei per l’emergenza sanitaria, che richiede una dimostrazione ad hoc. All’export vengono dati solo 450 milioni: non è chiaro per quali obiettivi. Mentre non rilancia gli investimenti in macchinari, il decreto non contiene i criteri di sicurezza sanitaria per fabbriche, artigiani e le loro attività e uno scudo da rischi penali derivanti da fattori incontrollabili. La parte sociale del decreto anche essa in larga misura arbitraria, è il 70% della spesa. Ma se non si rifà in buon parte la torta del Pil, come si può redistribuirla?
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