Dopo aver privatizzato l’Iri, ora Prodi ripropone qualcosa di simile
Romano Prodi fu presidente dell’Iri dal 1982 al 1989, e poi dal 1993 al 1994. L’Iri ente economico di gestione diventò Iri Spa a fine luglio 1992 per volontà del primo governo Amato: fu infine messo in liquidazione a giugno 2000 dal secondo governo Amato in attuazione di un accordo imposto sette anni prima dal commissario europeo Van Miert.
L’Iri, acronimo di Istituto per la Ricostruzione industriale, nacque nel 1933, e rappresentò nel dopo guerra il principale fulcro dell’intervento pubblico nell’economia italiana. Lo scorso dicembre, ospite di Lucia Annunziata, l’ex presidente del consiglio raccontò la vicenda relativa alla privatizzazione dell’Istituto: “Erano obblighi europei” disse. “A me – spiegò – che avevo costruito l’Iri, l’avevo risanata e messa posto, era stato dato il compito da Ciampi di privatizzare”. “Si immagini – disse, rivolgendosi a Lucia Annunziata -se io ero così contento di disfare le cose che avevo costruito. Bisognava farlo per rispondere alle regole generali di un mercato in cui eravamo”.
Ora, colui che per sua stessa ammissione ha privatizzato l’Iri in nome degli “obblighi europei”, pur sapendo che si trattava di un grave errore, torna a chiedere se non la ricostituzione del celebre istituto, qualcosa di concettualmente simile: una nuova politica keynesiana per l’Italia. “Come è successo in tutte le grandi crisi – sottolinea Romano Prodi in un editoriale su Il Messaggero – anche questa inattesa pandemia ha rimesso in gioco il ruolo dello Stato nell’economia. Da molti decenni infatti ci si era solo dedicati ad emarginare in tutti i settori l’intervento pubblico, a partire dall’industria per finire con la finanza”. Il professore ammette i profondi squilibri in seno all’Unione europea: “La Commissione europea – osserva l’ex presidente del consiglio – dopo anni di severa restrizione, ha sorprendentemente approvato, anche se in via temporanea, la possibilità dei diversi Paesi di destinare 1.900 miliardi di aiuti di Stato a sostegno delle proprie imprese. Tuttavia, oltre la metà di questi interventi pubblici riguarda la Germania, dove il governo dispone di risorse infinitamente superiori a quelle degli altri paesi”.
Pertanto l’Italia, a detta del professore, deve fare qualcosa per dare una scossa all’economia e sostenere le imprese. “Non certo un’altra Iri – precisa -perché il contesto economico è totalmente cambiato, ma occorre certamente una politica pubblica che aiuti la ripresa delle nostre imprese”. Tra le proposte di Prodi c’è quella di “agire direttamente sul sistema produttivo” immettendo subito “le necessarie risorse o con prestiti o a fondo perduto”. Perché, come spiega l’ex leader dell’Ulivo, “la pandemia” ha riportato prepotentemente “nell’arsenale di tutti i governi uno strumento che l’Europa ha sempre avversato” e che “ha ammesso solo in casi del tutto eccezionali: la diretta iniezione di capitale di rischio, arrivando fino alla partecipazione dello Stato nel capitale delle imprese”.
Forse, invece che magnificare a suo tempo l’entrata in Ue come una sorta di miraggio, dietro il quale si sarebbero delineate le delizie del Paradiso terrestre, per usare le parole di Bettino Craxi, e liquidare in quella maniera l’Iri per non meglio precisati “obblighi europei”, sarebbe stato opportuno agire in maniera diversa. Ma con il senno di poi sono tutti statisti, compreso Romano Prodi.
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