Svolta smart working: “Lavorare da casa diritto del dipendente”
È diventato il rifugio e la speranza di tutti gli esperti chiamati al capezzale dell’Italia ai tempi del virus. Per fortuna c’è lo smart working.
Formula semisconosciuta fino a pochi mesi fa a gran parte della popolazione e oggi familiare come e più di un parente stretto. Moltissime aziende l’hanno proposto o addirittura imposto ai lavoratori in queste settimane di emergenza, come unico vero antidoto al contagio e come arma migliore per evitare autobus e metropolitane affollati in una società che non sarà più quella di prima. Ora, in un’evoluzione rapidissima, il tribunale di Grosseto chiude il terzo lato del triangolo: il lavoro agile è un diritto soggettivo che il singolo può far valere con il suo datore di lavoro, anche se questi è contrario. Siamo, insomma, sia pure attraverso una per ora solitaria ordinanza, alla consacrazione della fatica digitale, relegata prima della pandemia nel limbo dei sogni virtuosi. Ora si cambia. «Si tratta di un principio innovativo e di estrema importanza – spiega l’avvocato Cesare Pozzoli, uno dei più importanti giuslavoristi milanesi – che potrebbe condizionare notevolmente le relazioni di lavoro, ancora di più nella imminente fase 2 della ripresa». Che, fra polemiche, strappi e scongiuri, debutta lunedì 4 maggio.
Nel caso in questione, il lavoratore si era trovato in grande difficoltà perché a fronte di problemi di salute, la società gli aveva chiesto di usufruire delle «ferie anticipate» negandogli il lavoro agile; di qui la decisione di rivolgersi al giudice, anche perché lo smart working era stato concesso ai colleghi di reparto.
«Laddove il datore di lavoro privato – scrive ora il tribunale di Grosseto – sia nelle condizioni di applicare il lavoro agile e (come nel caso in esame) ne abbia dato prova, il ricorso alle ferie non può essere indiscriminato, ingiustificato o penalizzante, soprattutto laddove vi siano titoli di priorità per ragioni di salute».
Una piccola grande rivoluzione, sia pure con alcuni paletti, legati alla biografia del dipendente e all’organizzazione aziendale. «Lo smart working – riassume Pozzoli – non è applicabile solo su accordo delle parti come prevede la legge istitutiva del 2017, e nemmeno può essere/disposto solo d’ufficio dall’imprenditore di turno, come è successo in modo massiccio negli ultimi due mesi, ma può costituire un autentico diritto soggettivo del lavoratore». Appunto la terza opzione, inimmaginabile solo un anno fa.
Si apre così, anche sul piano del diritto, una strada nuova che può portare molto lontano e costringe in qualche modo un po’ tutti a ridisegnare le abitudini e strategie. Il lavoro da remoto è piombato come un meteorite sulla testa di milioni di italiani. Ora, superata la prima fase di rodaggio, si scopre che l’oggetto misterioso può piacere o convenire non solo alle aziende ma anche ai lavoratori. Diventa un’opportunità come è successo per l’impiegato di Grosseto che nel suo ricorso aveva infatti fatto riferimento ai frenetici decreti di queste ultime settimane di passione.
«Accertata la sussistenza delle condizioni per ricorrere allo smart working – aggiunge il giudice – il datore di lavoro non può agire in maniera irragionevolmente o immotivatamente discriminatoria nei confronti di questo o quel lavoratore». Siamo, dunque, ad un primo step. E si pongono problematiche inedite: il giudice entra nei delicati equilibri di un ufficio o di una fabbrica e può alterarli. «L’ordinanza di Grosseto – conclude Pozzoli – attribuisce al lavoratore, sia pure in un caso particolare, un vero e proprio diritto al lavoro agile e il giudice acquista un notevole potere d’ingerenza nell’organizzazione aziendale. Il rischio è quello di minare la libertà economica delle imprese, tutelata dalla Costituzione». In ogni caso, il giudice di Grosseto per velocizzare i tempi pone un’ulteriore singolare sanzione: 50 euro «per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento».
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