Ecco i “predatori” che saccheggiano le entrate fiscali all’Europa
Uno spettro si aggira per l’Europa: lo spettro dell’elusione fiscale. Lo rivela un rapporto dell’Ong Tax Justice Network, think tank che da tempo si batte per una maggiore giustizia fiscale nel mondo e punta il dito su quattro Paesi del Vecchio Continente, indicati come centro di propulsione dell’elusione fiscale e della sottrazione di capitali agli altri Stati d’Europa.
Due sono esterni all’Unione Europea, e sono potenze finanziarie come Svizzera e Regno Unito. Gli altri due dell’Unione sono parte integrante e a parole fieri sostenitori: Olanda e Lussemburgo.
Come fa notare l’Ong in un rapporto, tra il 2016 e il 2017 i quattro Paesi (Londra ai tempi era parte dell’Ue) avrebbero sottratto al resto del Vecchio Continente entrate fiscali per 27 miliardi di euro all’anno attraverso l’incentivazione della competizione sulle aliquote e lo spostamento di sedi fiscali, centri di ricavo e società controllanti. Come si sottolinea in un report di Today.it ripreso da Dagospia, a determinare questo drenaggio sono soprattutto “i big statunitensi che operano in Europa siano attratti soprattutto dal Lussemburgo e dall’Olanda quando si tratta di scegliere una sede fiscale. Il motivo è chiaro: qui le imposte sulle società, a seconda degli accordi, possono arrivare ad aliquote bassissime, persino allo 0,8%, denuncia il rapporto”.
Il primo dei “predatori” è il Lussemburgo, che devia verso le sue casse oltre 12 miliardi di euro di entrate fiscali; segue con 10 l’Olanda, poi la Svizzera con 3 e il Regno Unito con 1,5. Maggiore è la potenza finanziaria reale, minore è la necessità di sfruttare il drenaggio. E per questo Londra e Berna sottraggono molto meno perchè dotate a loro volta di economie sviluppate, avanzate e proiettate su scala globale, come del resto il peso finanziario delle piazze di Londra e Zurigo testimonia.
Diverso il caso dei due Paesi del Benelux. “Importatori di holding”, per estender al Lussemburgo una celebre affermazione di Giulio Tremonti relativa all’Olanda, che giocano sulla corsa al ribasso accettando di raccogliere una fetta ridottoa (400 milioni il Lussemburgo e 2 miliardi l’Olanda) delle entrate fiscali a cui altrove le imprese operanti l’elusione avrebbero dovuto contribuire. Un gioco al ribasso di cui sono vittima soprattutto Francia (7 miliardi), Italia (4 miliardi) e Spagna (2 miliardi). E nel pieno dell’emergenza coronavirus, vediamo a cosa corrispondono queste mancate entrate: meno risorse pubbliche per la sanità, meno posti letto negli ospedali, meno risorse per politiche anti-crisi.
Secondo il Tjn, “gli strumenti per garantire una maggiore equità fiscale sono la trasparenza e una tassazione delle imprese armonizzata in tutta l’Ue. A Bruxelles, per esempio, da anni si discute di obbligare le imprese a pubblicare nel dettaglio dove hanno realizzato i profitti, un po’ come succede negli Usa”, ma la presenza ai vertici dei processi europei di funzionari e politici facenti capo ai “paradisi fiscali” occulti ha sempre frenato l’avanzata di questi provvedimenti. L’Olanda di Mark Rutte, in particolare, ha giocato sempre sul doppio filo dell’ipocrisia, da un lato beneficiando della competizione fiscale e dall’altro facendosi paladina del rigore sui conti pubblici. Le sue autorità hanno a lungo favorito il gonfiarsi di una vera e propria bolla che ha favorito il rafforzamento della posizione dell’Aja nel contesto comunitario grazie ai tassi di crescita notevoli ostentati da un’Olanda potenza esportatrice e centro di indirizzamento finanziario ma, al tempo stesso, di elusione fiscale. Rutte fa le pulci al deficit, incalza sulla natura “spendacciona” di Paesi come Italia, Spagna, Portogallo, si rilancia paladino del rigore anche nell’ora più buia della crisi del coronavirus, ma dimentica volutamente le basi del successo olandese in Europa. E perchè il nostro governo non ha mai portato, di recente, ai tavoli negoziali lo scandalo dei paradisi fiscali interne all’Ue? Perchè sono sempre e solo gli studi indipendenti a denunciare questo comportamento inaccettabile? L’ipocrisia è direttamente proporzionale alla potenza politica: chi può permettersela ha una maggiore leva negoziale. E Roma ora non ha nè l’influenza nè l’autorevolezza per affondare in un terreno tanto cruciale per l’economia di tutta Europa.
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