“Calpesta la Costituzione”. Conte adesso rischia grosso
Matteo Renzi sente l’odore del sangue. È convinto che sul terreno della Costituzione si giochi la partita finale per mandare a casa il governo guidato da Giuseppe Conte.
Prima dalle pagine di Repubblica, poi nell’e-news serale, l’ex presidente del Consiglio affonda il colpo contro l’avvocato del popolo. «L’ultimo dpcm è uno scandalo costituzionale. Non possiamo calpestare i diritti costituzionali. Trasformiamolo in un decreto», dice il leader di Italia viva. Il premier liquida le accuse di Renzi a semplici opinioni: «Onestamente non ho visto la rassegna stampa. Sono rientrato alle 4.30 a Roma, questa mattina presto sono ripartito e non ho avuto tempo. Libertà d’opinione, ma a me tocca decidere», replica da Lodi. Poi in serata, da Piacenza, il presidente del Consiglio è più chiaro: «La tipologia di questa emergenza ci impone di dover intervenire decidendo anche nel giro di poche ore. Questo non significa che le prerogative del Parlamento non siano rispettate: continuerò a riferire. I decreti saranno convertiti in legge. Siamo riusciti a farlo anche in un contesto molto difficile, e il nostro ordinamento non era pronto. Ma è un percorso che non esilia affatto le prerogative del parlamento».
Ma Renzi non molla ed evoca il rischio dello Stato etico: «Non può esistere uno Stato etico che ti fa autocertificare se la tua relazione affettiva è stabile o saltuaria: se nessuno si indigna per questo, significa che abbiamo un problema. La libertà di movimento, la libertà religiosa e tutte le altre libertà non sono consentite da un governo: la libertà viene prima del governo. E se anche rimanessi il solo a dirlo, continuerò a farlo».
Da ieri non c’è più solo l’ex rottamatore a criticare l’operato del governo. Ma anche la Corte Costituzionale mette nel mirino l’inquilino di Palazzo Chigi: «Non esiste un diritto speciale per i tempi eccezionali», spiega il presidente della Consulta Marta Cartabia nella tradizionale relazione annuale. Salvo poi correggere il tiro in serata. L’unico che si immola in difesa del premier è il leader del Pd Nicola Zingaretti: «Tutte le sollecitazioni ad un rigore in materia costituzionale sono importanti, ma credo che non siamo in presenza di violazioni della Costituzione». In direzione opposta va il capogruppo dei dem a Palazzo Madama Andrea Marcucci: «Credo che Conte abbia sbagliato sul crono programma della fase due. La riapertura di bar e ristoranti il 1 giugno temo sia troppo lontana, il Dpcm scade il 17 maggio, lasciamoci lo spazio per decidere di volta in volta se ci sono margini per aprire prima, o per testare le aperture nelle regioni dove la curva epidemiologica è più rassicurante». L’affondo della Consulta spinge il capogruppo di Forza Italia Mariastella Gelmini a chiedere la trasformazione dell’ultimo dpcm in decreto legge: «Siamo sempre stati moderati e responsabili ma di fronte all’ultima conferenza stampa autocelebrativa di Conte, osserviamo che accanto alla crisi sanitaria ed economica, c’è una crisi democratica. La prima nostra richiesta è trasformare il dpcm in decreto, in modo che il Parlamento possa dire la propria». Nelle pagine della relazione della Cartabia c’è un messaggio chiaro al capo del governo a tenere la Costituzione come «la bussola anche per navigare per l’alto mare aperto nei tempi di crisi». Il presidente Cartabia spiega che «la Costituzione non è insensibile alle situazioni di emergenza come recita l’articolo 77 della Costituzione in materia di decreti-legge». E come si fa con gli studenti all’Università, il numero uno della Consulta ricorda circostanze analoghe in passato che però «non hanno portato a una sospensione dell’ordine costituzionale». L’intervento a tenaglia (Cartabia-Renzi) sa di ultimatum per un premier sempre più isolato.
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