Imu, Tari e imposte locali: i 3 colpi che uccidono i negozi
Ci sarà, probabilmente, la sospensione dell’invio delle cartelle esattoriali che si allunga dal 31 maggio al 30 settembre prossimo. Ma a spaventare i negozianti della capitale, più di tutto, è il futuro. Cosa accadrà dopo? Cosa potrebbe succedere tra qualche mese? Per i bar, i ristoranti, le palestre, i parrucchieri, i gestori di lidi balneari convivere con il virus, rispettando le norme di distanziamento, è quanto mai difficile. Tutti ti dicono la stessa cosa: le tasse fanno paura. Imu, Tasi, Tari in primis. Che si aggiungono agli altri tributi.
Sono in 70mila a Roma. E il loro silenzio è assordante. Non possono pagare dipendenti e fornitori. Senza introiti non gli riesce di saldare le rate del mutuo, gli affitti, le utenze. Questi sono solo alcuni casi di spese da liquidare. C’è chi ha una bottega artigiana e produce mobili su misura che chiede liquidità per andare avanti. C’è chi ha una sartoria e si è vista fermare tutta la produzione per la stagione estiva. “Ci hanno annullato tutti gli abiti commissionati e le spese sono tante”. Piera, una parrucchiera che in 50 anni di attività non ha mai preso un giorno di ferie, commenta le dichiarazioni del premier Giuseppe Conte con queste testuali parole: “Quando ha detto che i parrucchieri avrebbero riaperto a giugno ho sentito un pugno nello stomaco. Ancora sto male. Questi vogliono farci chiudere e non capisco cosa cambia aprire ora o fra un mese. Diciamo che è una dittatura silenziosa. Si possono fare i funerali con 15 persone, si può salire sui mezzi pubblici. E noi costretti a casa ad aspettare. Nella vita ci vuole forza, coraggio e tanta, tanta pazienza”. Queste società hanno subito un crollo. E spesso sono costrette a ripartire da zero. Un tunnel senza luce.
La notte non si dorme
La notte non si dorme. Paure, ansie, famiglia, bambini. Sono stati costretti a chiudere in una città e un Paese che vive di micro aziende. Non è solo via dei Condotti, la via dello shopping per antonomasia. O via Frattina, o via della Vite. C’è un mondo che si è fermato all’arrivo del coronavirus e che potrebbe non ripartire più. La pandemia si abbatte sulle attività commerciali che devono fare i conti con il fatturato zero dei due mesi di serrata totale. E con una prospettiva di riapertura che per molti, nella proclamata fase due, potrebbe non essere certa. C’è chi pensa che la vera emergenza debba ancora arrivare. Deve ancora palesarsi di fronte agli italiani.
Sarà di diversa natura. Non sanitaria, ma economica. E sarà un’onda anomala che potrebbe spazzare via gran parte dei negozi e piccole attività di Roma. Quattro negozi al dettaglio su dieci, dalle gelaterie all’abbigliamento, rischiano di fallire a causa del coronavirus. Stessa sorte per almeno 3 su 10 fra ristoranti, alberghi e centri estetici. L’allarme arriva dall’ultimo report della Cna, l’associazione delle piccole imprese e artigiani di Roma. La ripartenza è più complessa e incerta del previsto. “Altro che aiuti promessi. Serve ben altro”, dicono i negozianti.
Le tasse
Anche il Campidoglio ha preso atto della situazione, ma per ora pochi fatti. A causa dell’emergenza sanitaria la sindaca, Virginia Raggi, ha temporaneamente disposto, per le entrate di competenza, la proroga di diverse scadenze. Imposte che, attenzione, non sono state cancellate. Ma rinviate al massimo di qualche mese. C’è il contributo di soggiorno, slittato al 16 giugno. È quell’imposta riscossa da parte dei gestori delle strutture ricettive e degli alloggi a uso turistico. Viene posticipato l’invio degli “avvisi bonari di pagamento” (le comuni bollette) per la Tari relativa all’annualità 2020. Viene indicata la scadenza del 30 settembre, per quelli relativi al primo semestre. La scadenza del 31 dicembre per quelli relativi al secondo semestre. Per Imu, Tasi e Tari sospensione fino al 30 giugno. Solo pochi mesi di ossigeno. Qualcosa che per gli imprenditori è troppo poco. Queste tasse non tengono poi conto dell’andamento economico delle aziende essendo applicate su parametri non legati ai risultati di bilancio.
Bisogna sbrigarsi. E quando si ripartirà, si avrà bisogno come il pane (in senso letterale) di una deregulation. Stop a imposte e burocrazia per concedere una boccata d’aria fresca a questi lavoratori autonomi. Loro non si arrendono. Chiedono meno Stato, inteso come meno tasse e meno burocrazia. “Bisogna dire basta ai vincoli di ogni tipo. L’economia si riprenderà solo se potrà dribblare la burocrazia che opprime le imprese”, fa sapere Giovanni che da una vita fa il gommista. “Niente obbligo di fatturazione elettronica, niente obbligo di registratore di cassa, niente studi di settore, togliere il tetto all’uso del contante”. Il loro è un tunnel della paura.
Ma il problema è che anche le misure di accesso al credito previste da governo e regione rischiano fortemente di rivelarsi insufficienti per i commercianti che dovranno affrontare spese vive, prestiti e mutui al momento sospesi e nuovi costi come la sanificazione. La ripartenza non sarà gratis. Imprenditori e artigiani chiedono un piano condiviso di ampio respiro che però al momento non c’è.
Il lockdown fa tremare
I più colpiti dal lockdown sono i locali del settore turistico e ricettivo. Il calo del fatturato arriva all’85% per gli hotel, che pure potrebbero rimanere aperti. Ma il mercato è fermo e chissà per quanto. Il fallimento è lo spettro con cui fare i conti ogni giorno. Almeno il 35% degli alberghi romani non sarà in grado di riaprire e di proseguire l’attività nel futuro. È il grido d’allarme di Francesco Gatti, presidente di Assohotel Roma e Lazio. “Sembra non si siano colte le reali condizioni in cui versa il settore turistico e in particolare quello alberghiero. Viene confusa l’emergenza economica con una profonda emergenza sociale e socioeconomica che vede le strutture alberghiere ed i propri dipendenti senza ricavi da oltre due mesi e con prospettive di recupero non prima di due anni, con molte spese correnti che seguitano ad accumularsi e spesso ad un passo dallo sfratto per l’impossibilità di far fronte al canone di locazione. I dipendenti sono in attesa del pagamento della cassa integrazione da parte dell’Inps che non ha ancora provveduto ad inviare neanche l’accettazione delle pratiche”.
A Roma e provincia ci sono 1.800 alberghi, 12mila ristoranti, 11.500 bar, 16.500 centri estetici: almeno il 30% rischia di chiudere. Ancora peggio per le 1.375 pasticcerie e gli oltre 61 mila negozi al dettaglio che da soli danno lavoro a oltre 106 mila persone: 4 su dieci rischiano di non superare la ripartenza. Stessa sorte per 7.640 imprese edili sulle 63.300 attive a Roma o per 613 autoriparatori su 6.138.
Le promesse del governo
Da un sondaggio della camera di commercio emerge che tre imprese su dieci chiedono incentivi al credito per le famiglie e per far ripartire i consumi. Altre chiedono un piano Marshall con investimenti sui servizi e infrastrutture, come nel secondo dopoguerra. Soldi a fondo perduto. Le altre richieste riguardano l’accesso al credito, il taglio delle tasse e la riforma della macchina amministrativa. Per le partite Iva il governo già per il prossimo mese potrebbe intervenire con misure concrete. Nessun incubo da accertamento o cartella esattoriale a partire dal primo giugno. Con una norma chi è al timone punterebbe a una sospensione dell’invio degli atti di accertamento fino a dicembre, così come quella delle cartelle esattoriali che si allungherebbe dal 31 maggio al 30 settembre prossimo.
Sul fronte indennizzi alle Pmi, oltre alla sterilizzazione di oneri di sistema per 600 milioni dalle bollette elettriche, si deciderà tra l’erogazione di somme a fondo perduto fino a 5mila euro per le imprese fino a 10 dipendenti o una sospensione delle tasse dovute. Sempre per le piccole imprese potrebbero arrivare aiuti fino a 1,7 miliardi per gli affitti commerciali pagati anche durante il periodo di chiusura. Un passo in avanti in favore di questi lavoratori troppo spesso dimenticati. Finora solo promesse. Intanto, la proprietaria di un’antica pasticceria di provincia lamenta: “Non so se siamo morti di coronavirus o per coronavirus. So solo che, a queste condizioni, non riapriremo”.
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