La farsa del 25 aprile e quel disperato tentativo di ravvivare l’antifascismo
Roma, 25 apr – Le stanno tentando tutte. Ieri, addirittura, il Corriere della Sera ha regalato il tricolore, cercando maldestramente di porre questo 25 aprile in scia con le manifestazioni patriottiche della prima fase dell’epidemia (tanto, nelle photogallery di oggi, chi lo saprà mai se quelle bandiere ai balconi sono state messe oggi o sono lì da un mese…). Gad Lerner farà una trasmissione apposita sui partigiani, su Rai tre. Il governo ha concesso una deroga alla quarantena per la sola Anpi, così che le manifestazioni siano a senso unico. Persino l’industria culturale rema a favore di questa festa della Liberazione, con la Casa di carta che rende pop “Bella ciao” (anche se un canto della Resistenza che nessun partigiano ha mai cantato, inventato come inno politico negli anni ’60, e oggi diffuso globalmente da una serie tv spagnola trasmessa su Netflix appare grottescamente emblematico in un senso che i suoi fan non sembrano aver colto…).
L’antifascismo è un fenomeno di nicchia
Ci stanno provando in tutti i modi, ma niente, questa ricorrenza non vuole entrare nelle teste e nei cuori degli italiani. Ogni anno ci mettono più foga, per poi scontrarsi con una dura realtà incontrovertibile: l’antifascismo è stato ed è sempre più un fenomeno di nicchia, un prodotto elitario, una roba che non unisce, non sa essere popolare, non rappresenta la nazione.
Prendiamo il solito Christian Raimo, che citiamo così spesso perché, come i bambini e gli avvinazzati, ha quell’innocenza da gaffeur che gli dona talvolta squarci di sincerità. Ecco cosa scriveva lo scrittore qualche giorno fa sui social, corredando il post con una serie di immagini: «Fra una settimana è il 25 aprile e dopo 75 anni parliamo ancora anche questa volta del fascismo, delle polemiche viete di un La Russa o di un Salvini. Mussolini e il fascismo sono ancora al centro del dibattito pubblico sulla storia italiana, lo sono nei libri bestseller come quello di Scurati o Murgia, negli spazi (dai balconi di piazza Venezia agli obelischi al Foro Italico alla tomba a Predappio), lo sono nelle polemiche e nelle indignazioni, nella riflessione politica per cui ci confrontiamo continuamente con la sua permanenza e non nelle ideologie attuali. Tutto questo ci fa perdere ogni giorno il senso della potenza iconica, filosofica, politica, culturale, dell’antifascismo. Questi 4 nelle foto sono: la casa dove Matteotti è nato e ha vissuto, il monumento a lui dedicato nella piazza di Rovigo dove Matteotti faceva i comizi, il monumento a lui dedicato nel luogo dove fu rapito per essere dopo pochi minuti ammazzato sul Lungotevere a Roma, il monumento sulla Flaminia all’altezza di Rignano vicino al luogo dove fu ritrovato il suo cadavere. Sono luoghi dove nessuna gita scolastica va, dove a parte qualche raro socialista nessuno mette fiori, dove non ci sono celebrazioni nazionali. L’antifascismo ha bisogno di memoria, di immagini, di miti, di riflessione, di conoscenza, di essere la spina dorsale della storia del nostro paese, non una volta all’anno».
Il 25 aprile e la rivincita postuma di Mussolini
E cos’è, in effetti, quell’odio feroce che ancora circonda la figura di Benito Mussolini, se non una rivincita postuma dell’uomo che ancora oggi, nonostante tutto, domina la scena politica italiana? Gli obelischi, gli slogan, le divise, i simboli, i canti del fascismo sono centrali nel nostro immaginario, in un senso o nell’altro. L’iconografia, le storie, i canti dell’antifascismo (se si esclude per l’appunto quel canto delle mondine che tanto piace ai rapinatori de La casa de papel e che sui monti, tra il 1943 e il 1945, nessuno ha mai sentito) sono materia sconosciuta ai più. Ed è sempre dall’alto verso il basso che si prova a ravvivare quella fiamma mai così spenta: la festa comandata, il discorso del Presidente della Repubblica, l’iniziativa del giornalone borghese…
Giornalone che, peraltro, aveva forse da farsi perdonare un’altra recente iniziativa, molto criticata: una collana di libri sul fascismo, pubblicizzata con un’immagine e con delle parole ritenuti troppo neutri, quasi ammiccanti («Il Ventennio che ha cambiato l’Italia», era lo slogan, accanto a un Mussolini sorridente dal balcone). «Il tono asettico e neutrale di questa pubblicità (leggerne il testo, ogni parola scelta con cura per non risultare critica) dice molto sul clima culturale odierno: il marketing sconsiglia di apparire antifascisti per non dividere il pubblico?», ha subito twittato Lerner. E la risposta alla domanda retorica è: sì.
Ma il fascismo è un’altra cosa…
È quindi vero, come sembra dedurne Lerner, che viviamo in prossimità di un nuovo fascismo? No, ovviamente, perché al presunto nuovo fascismo manca un Mussolini (cioè un capo carismatico), un Marinetti (cioè un’avanguardia anticipatrice), un Balbo (cioè una milizia di combattenti), un Gentile (cioè l’adesione del fior fior della cultura), un Rocco (cioè i giuristi che possano tradurre in legge i programmi), un Bottai (cioè l’organizzazione della cultura) etc. In pratica, al nuovo fascismo manca il fascismo. Ma se l’Italia del 2020 non è fascista e non è neanche antifascista, allora cos’è? Probabilmente siamo ancora immersi in quella zona grigia di cui parlava Renzo De Felice. Anche se, guardandoci attorno, il colore non sembra proprio grigio.
Adriano Scianca