“Bisogna riaprire subito. Faremo delle fabbriche il luogo più sicuro”
Maurizio Casasco è presidente di Confapi, la confederazione delle piccole imprese. È reduce da una videoconferenza della Cea- Pme, la Federazione europea delle Pmi della quale è primo vicepresidente sugli effetti economici del coronavirus.
«Sono preoccupati per l’Italia», spiega.
Perché considerano la nostra situazione come particolarmente grave?
«I tedeschi ci chiedono quando riusciremo e riallinearci a loro, visto che molte industrie a partire da quella automobilistica dipendono anche da nostre produzioni. Dicono che se non torneremo a produrre saranno costretti ad approvvigionarsi da altre parti. Dobbiamo riallinearci immediatamente perché ogni giorno che passa perdiamo una fetta di mercato, per sempre. Mi sembra che non si comprenda la posta in gioco. Rischiamo che l’emergenza economica si vendichi su quella sanitaria, rischiamo tensioni sociali».
Il governo ha insediato una task force di esperti. Non è sufficiente?
«Servono decisioni rapide e immediate, non solo commissioni. Non si ci può trincerare dietro lo stare tutti a casa. Bisogna riaprire al più prestito migliorando i protocolli sanitari in accordo con le parti sociali e seguendo un percorso logico e semplice. Primo, stabilire regole e protocolli per garantire la sicurezza nei posti di lavoro; secondo avere fiducia negli imprenditori e renderli responsabili della loro applicazione. Ma a decidere deve essere il governo, in tempi rapidissimi. Io sono un medico e dico che dobbiamo diventare noi imprenditori i medici dell’industria se non vogliamo trasformare tutto lo Stato in un ospedale. Mercoledì abbiamo inviato una lettera al presidente del Consiglio Giuseppe Conte nella quale chiediamo un incontro per parlare della necessità di riaprire».
Secondo Confapi in che data si potrebbe riaprire?
«Dal 20 aprile, seguendo delle linee guida precise. Bisognerebbe prevedere da subito un parziale ritorno al lavoro. Stabilire un limite di età, magari tra i 55 e i 60 anni, oltre al quale si resta a casa in cassa integrazione. A giudizio del medico competente si può decidere di non fare rientrare subito persone in condizioni di salute particolari anche sotto il limite di età. Poi prevedere per tutti i dipendenti dei test rapidi anticorpali, il cui costo può essere a carico degli imprenditori».
Però sono test che non hanno una affidabilità assoluta…
«Se arriveranno le autorizzazioni per altri test si potrà valutare. Ma già con il test rapido pungidito si garantisce un livello di sicurezza superiore rispetto al protocollo del 14 marzo. Parallelamente, i testi sierologici venosi anticorpali, così come i tamponi di difficile reperibilità per assenza di reagenti, possono essere considerati test di secondo livello. E comunque utilizzabili in precedenza per la sanità pubblica ed epidemiologica. Occorre mettere in rete la sanità pubblica e privata e stabilire dei livelli di precedenza, ma non di esclusività uniformando il sistema nazionale e mettendno nell’ordine santà pubblica (ospedali e asl) medicina del lavoro e privati».
Poi cosa dovrebbe succedere nelle fabbriche riaperte?
«Oltre alla sanificazione e ai dispositivi di sicurezza individuale, il distanziamento ed altri disposizioni già in vigore, dobbiamo prevedere un nuovo modello di lavoro basato su turni e orari scaglionati così da dare spazi più ampi. Il sistema dei turni permette peraltro che l’afflusso sui mezzi di trasporto pubblici sia diluito nel tempo. La produzione all’inizio potrà subire una riduzione, in attesa di tempi migliori. Ma la fabbrica deve diventare il luogo più sicuro, questo è lo slogan di Confapi».
Che giudizio date dei decreti approvati fino ad ora dal governo?
«Bene il fondo di garanzia. Vedo rischi nel sistema e nei tempi, male il limite creditizio. Un problema i sei anni per la restituzioni del debito. Servono regole per tornare a lavorare subito e non perdere quote di mercato, produrre, fatturare e attraverso il regime fiscale, sostenere la liquidità dello Stato per sanità, sicurezza, educazione e pubblica amministrazione».
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