Boss nigeriano scarcerato per un cavillo: “Così può essere assolto anche Oseghale”
È stato un cavillo giudiziario a permettere ad uno dei boss della mafia nigeriana, arrestato un anno fa a Palermo, di uscire dal carcere.
Nonostante la “notevole pericolosità” del soggetto, accertata dai giudici durante il processo, un difetto di notifica, segnalato dall’avvocato della difesa, ha consentito a Paul Eboigbe, detto Bugatti, di tornare a casa. Con tutti i “pericoli” che una decisione del genere comporta. “Astrattamente”, spiega a ilGiornale.it Marco Valerio Verni, legale della famiglia di Pamela Mastropietro, “anche quello di fuga”.
Ci spieghi meglio…
“Nel caso di Palermo, era ovvia l’applicazione della custodia in carcere, stante le accuse sollevate in capo al nigeriano. Senza entrare nel merito del caso singolo, generalmente parlando, è chiara la differenza tra una misura cautelare in carcere e quella, più attenuata, di un semplice obbligo di dimora, anche se unito a quello della presentazione alla polizia giudiziaria. Una misura cautelare viene applicata in base a dei parametri valutativi, tra cui la gravità del reato contestato, il pericolo di fuga, quello di inquinamento delle prove o della reiterazione del reato, nonché della personalità dell’indagato.”
Errori di questo tipo capitano spesso nei processi penali?
“Purtroppo sì, anche se sono episodi che non dovrebbero mai accadere, figuriamoci in processi particolarmente importanti. E non sono gli unici. A Macerata, ad esempio, sul finire del 2018 è caduto in prescrizione un processo in cui erano indagate ben 21 persone, di cui 15 di nazionalità nigeriana, accusati di traffico internazionale di droga e sfruttamento della prostituzione con riduzione in schiavitù tramite riti ‘juju’. Ebbene, sembra che a causa di una ‘dimenticanza’ di chi doveva disporre le perizie sull’ingente quantitativo di sostanze sequestrate, il reato principale sia stato derubricato. Ora, secondo alcuni, uno scenario del genere potrebbe verificarsi anche nel processo per l’omicidio di Pamela.”
Cioè?
“La questione è un po’ diversa, ma riguarda sempre dei presunti problemi con alcune notifiche, a causa dei quali potrebbero essere invalidati alcuni accertamenti medico legali e tossicologici effettuati sul corpo della ragazza, tra quelli decisivi per portare la Corte di Assise di Macerata a condannare all’ergastolo Innocent Oseghale. Il rischio deriva da un recente pronunciamento della Corte di Cassazione, chiamata a dirimere la questione di diritto, derivante da altro procedimento penale, ‘se sia valida la notifica all’imputato detenuto eseguita presso il domicilio eletto e non presso il luogo di detenzione’. Gli ermellini, il 27 febbraio 2020, avrebbero adottato la soluzione secondo cui ‘la notifica all’imputato detenuto va eseguita presso il luogo di detenzione’. È proprio questo che contestano i legali del nigeriano.
Il fatto che non gli sia stato notificato il risultato degli accertamenti in carcere?
“Esatto. Se questa eccezione venisse accolta Oseghale potrebbe essere assolto, visto che quel tipo di accertamenti sono irripetibili, e provano il coinvolgimento del nigeriano nel delitto. Per quanto ci riguarda, rimaniamo sereni e fiduciosi, da un lato perché si attendono ancora le motivazioni della sentenza della Cassazione, che potrebbe, naturalmente, prevedere delle sfumature e delle eccezioni, e poi perché, nel caso concreto, Oseghale ha più volte, durante il suo stato di detenzione, rinnovato la nomina al suo iniziale avvocato di fiducia e l’elezione di domicilio presso lo studio di quest’ultimo. In buona sostanza, ha scelto volontariamente e scientemente di non voler ricevere gli atti in carcere. Tant’è vero che, l’eccezione degli avvocati del nigeriano, a cui ci siamo naturalmente opposti sia noi che la Procura, è stata rigettata sia dal giudice dell’udienza preliminare che dalla stessa Corte di Assise.”
Chi è responsabile di errori come quelli commessi nel processo contro la mafia nigeriana a Palermo?
“Durante la fase delle indagini, è generalmente delle procure. Sicuramente lo è per l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, come nel caso di Palermo, o degli accertamenti medico-legali e tossicologici, come nel caso di Pamela, anche se, materialmente, non sono i magistrati a compiere le notifiche. Quindi occorrerebbe vedere, di volta in volta, chi abbia omesso o ritardato l’atto, essendo anche altri, oltre al magistrato, i soggetti della ‘filiera’, dal cancelliere, al postino, all’ufficiale giudiziario, alla polizia giudiziaria.”
Esistono delle sanzioni in questi casi?
“In caso di errore, certamente potrebbero essere chiamati a rispondere, ma difficilmente qualcuno si mette a far causa. Non è certamente interesse dell’imputato farlo. A causa di questi errori, peraltro, spesso cadono in prescrizione molti processi, contrariamente a quanto si crede nell’immaginario collettivo, ossia che le lungaggini processuali siano sempre e solo colpa degli avvocati.”
Come si può evitare che succedano queste cose?
“Da un lato, è evidente che occorrerebbe incrementare il personale dei tribunali, ai vari livelli, e nelle varie funzioni, facendoli dirigere a persone capaci: non è detto, purtroppo, che un bravo magistrato sia anche un buon manager. Dall’altra, però, andrebbe ripensata, una volta per tutte, anche la responsabilità, in particolare, degli stessi magistrati, perché spesso si scorda che, per un loro errore, si rovinano vite. Tanto di chi viene indagato o imputato, quanto delle vittime, che spesso vengono dimenticate o i cui diritti sembrano a volte minori rispetto a quelli dei loro carnefici. Tradendo quello che, al dunque, è il loro dovere: promuovere la giustizia.”
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