Germania, tassa sulle moschee per ridurre l’influenza della Turchia
Tassare le moschee per evitare la radicalizzazione. È la proposta del governo tedesco per sottrarre i luoghi di culto musulmani all’orbita dei movimenti salafiti di Turchia e Arabia Saudita.
Sono novecento, ad esempio, quelli finanziati in Germania dall’Unione turco-islamica per gli affari religiosi (Ditib), la principale associazione di musulmani tedeschi, controllata diretta del governo di Ankara. È attraverso questa organizzazione, secondo l’intelligence di Berlino, che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan avrebbe spiato in questi anni gli oppositori al suo governo che hanno trovato rifugio in Germania.
Rendere i centri islamici indipendenti da finanziamenti esterni, dunque, per la coalizione di governo, garantirebbe maggiore trasparenza e sicurezza. In realtà questa tassa esiste già e il governo tedesco la applica alle differenti chiese cristiane. Una “strada percorribile”, come l’ha definita l’esecutivo di Angela Merkel, sarebbe quella di estenderla anche alla comunità musulmana, alla quale appartengono circa 5 milioni di persone, il 6% della popolazione tedesca.
A riscuoterla dovrebbero essere i vari Länder, molti dei quali hanno già accolto con favore la proposta. Tra questi ci sono il governo del Meclemburgo-Pomerania e del Baden-Württemberg, per i quali la tassa ridurrebbe “il rischio di importazione di correnti islamiste radicali ostili alla democrazia”.
L’idea era stata lanciata lo scorso novembre durante la Conferenza Islamica della Germania a Berlino, ma all’epoca la proposta di formare gli imam in Germania e di introdurre un regime di auto-finanziamento delle moschee aveva suscitato critiche da parte delle associazioni islamiche più conservatrici, tra cui proprio la Ditib. Molti degli imam che insegnano nelle moschee tedesche frequentate dalla comunità turca, infatti, vengono formati in Turchia e poi inviati nelle città tedesche. Il risultato è che spesso non conoscono la lingua e neppure la cultura del Paese in cui si trovano: particolari che rendono ancora più difficile il processo di integrazione.
Fonte: ilgiornale