Tremonti smaschera Conte: “I soldi del decreto? Forse tra 60 giorni”
Le misure del governo italiano per risollevare l’economia del Paese hanno prodotto una sorta di “effetto annuncio”; il problema è che i soldi promessi dall’esecutivo per aiutare imprese e lavoratori non arriveranno subito e, molto probabilmente, neppure nella quantità indicata.
A spiegare nel dettaglio la strategia economica portata avanti dal premier Conte ci ha pensato Giulio Tremonti.
Nel corso di una lunga intervista al quotidiano Il Messaggero, l’ex ministro dell’Economia ha subito inchiodato i giallorossi e il loro decreto legge. Sulla carta quella dell’Italia sarebbe una delle manovre più grandi d’ Europa ma ci sono molte zone d’ombra che ne ridimensionano il giudizio. La prima: “Questo decreto – spiega Tremonti – ha prodotto subito un effetto annuncio, ma sarà molto dopo che produrrà forse i suoi effetti sostanziali. Per una grossa parte il decreto presuppone il passaggio a Bruxelles per l’approvazione”.
Il nodo della tempistica
L’altro aspetto da considerare riguarda la tempistica, o meglio il passaggio in Parlamento dello stesso decreto con dibattito annesso. “La regola dei decreti è: effetti subito salvo qualche successivo cambiamento. Qui – sottolinea Tremonti – è certo che ci saranno tanti di quei cambiamenti, e sostanziali, da paralizzare la manovra. Da quando la bozza, che oggi è ancora un fantasma, sarà pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale e poi infine approvata, passeranno più di 60 giorni. In casi come questo il tempo è strategico. Anzi vitale”. Il confronto con l’estero è impietoso: “Per essere chiari, in altri Paesi la pandemia è arrivata dopo, ma l’ aiuto economico alle imprese è già arrivato”.
Per quanto riguarda il contenuto del decreto, Tremonti fa notare l’astrattezza del piano italiano: “Trecento miliardi prima, 400 miliardi oggi, lottizzati tra il Ministero dell’ Economia e quello degli Affari esteri, effettivamente cubano la più grande manovra della storia italiana e d’ Europa. Messa giù così, se vai in Europa a chiedere gli eurobond, puoi aspettarti che una rauca voce nordica ti dica: ma se hai già tutti questi soldi, perché ne vuoi ancora?”. E qui arriviamo al punto: “Un conto è parlare in televisione in Italia, dire che hai una enorme potenza di fuoco. Un conto è il giorno dopo in Europa. Tanto è vero che hai costruito procedure complicate proprio per non spenderli”.
Capitolo Mes ed Eurobond. La disamina dell’ex ministro è emblematica: “Eurobond voleva dire debito europeo. Tutto quello che si sta organizzando è debito nazionale operato attraverso strumenti vecchi, come il Mes, o nuovi da inventare in Europa”. Indebitarsi, soprattutto per Paesi come l’Italia, dall’alto debito pubblico, è un rischio enorme: “Se ti indebiti in questo modo, prima o poi il creditore ti chiederà conto dell’ uso che hai fatto dei suoi soldi. Questo è certo, come è certa un’altra cosa. Se anche si sviluppasse uno strumento nuovo europeo, avremmo sempre il problema del nostro debito che cresce”.
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