Iva Zanicchi: «A gennaio già si sapeva tutto, ma mi dissero che ero razzista. E ora ci troviamo così»

Non si tira indietro, Iva Zanicchi. Anzi, rilancia. In un’intervista al “Giorno” fa precise accuse al governo per la gestione dell’emergenza coronavirus. Passaggi duri, da parte di un’artista che ha sempre detto quello che pensava senza nascondersi.

Iva Zanicchi “chiusa” nella sua casa in Brianza

Sta vivendo la sua “quarantena” in Brianza, a Lesmo, dove vive da quarant’anni. «Spero nella scienza», dice senza mezzi termini. «Andiamo sulla Luna e fra poco andremo pure su Marte. È possibile che adesso basti un piccolo virus per metterci in queste condizioni e farci morire tutti?».

«Quella volta che la mia famiglia ebbe l’Asiatica»

«Non ho mai preso l’influenza. Quando ero giovane, ci fu l’epidemia di Influenza Asiatica. Avevo diciassette anni», racconta la cantante. «In casa a Ligonchio vivevamo in 6 ed erano tutti malatu tranne me». Quindi, «mi ritrovai a occuparmi di tutti e ad accudirli, per quanto potevo. E alla fine fui l’unica a non ammalarmi. Il mio medico dice che ho degli anticorpi mostruosi, però so che potrei essere portatrice sana e quindi sto attenta».

L’intervista “contestata” a Domenica in

Iva Zamicchi è arrabbiata. E si toglie qualche sassolino dalle scarpe.  «Il problema è stato sottovalutato da tutti e per primi dai politici. A gennaio – se non prima – già si sapeva come sarebbero andate le cose. Ricordo che il 2 febbraio scorso ero in televisione. Mi avevano invitato a “Domenica in”. Raccontai che in albergo avevo visto dei cinesi portati via in ambulanza. E invitai tutti a stare attenti».

Iva Zanicchi: «Mi diedero della razzista»

«Dissi anche che se avessi incontrato un cinese che tossiva sarei scappata… Beh, mi saltarono tutti addosso, mi diedero della razzista, della fascista, senza capire che non ce l’avevo certo coi cinesi. Se fosse stato un tedesco (contagiato) a tossire, per me non sarebbe cambiato nulla. Il problema è che bisognava fare attenzione a chi era stato contagiato. Lo sapevano tutti».

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