Mosca minaccia “La Stampa”: «Chi scava la fossa ci cade dentro». E il governo resta muto
Stavolta le minacce sono vere. Ma stavolta nessuno di quelli sempre pronti a stracciarsi le vesti per le ingerenze russe nella nostra democrazia sembra essersene accorto. Perché un conto è gridare a qualche Russiagate da barzelletta, altro conto – pare – è affrontare un soggetto ben identificato per un attacco (vero) alla nostra democrazia. Il giornalista Jacopo Iacoboni e la testa per cui scrive, La Stampa, sono stati oggetto di un pesantissimo attacco da parte del ministero della Difesa russo. Ma né l’Ordine dei giornalisti, né, soprattutto, il governo o i partiti di maggioranza, Pd in testa, sembrano essersene accorti.
Le minacce a Iacoboni e a “La Stampa”
Jacoboni è “reo” di aver scritto una serie di articoli sulla presenza di agenti russi al seguito della delegazione che Mosca ci ha mandato per il coronavirus. Con un lungo comunicato, postato in italiano su Facebook, il portavoce del ministero della Difesa russo, “maggior generale Igor Konashenkov”, ha avvertito che “per quanto riguarda i rapporti con i reali committenti della russofobia de La Stampa, i quali sono a noi noti, raccomandiamo loro di fare propria un’antica massima: Qui fodit foveam, incidet in eam (Chi scava la fossa, in essa precipita). Per essere più chiari: Bad penny always comes back”. Insomma, uno schiaffo niente male. E non solo a Iacoboni e a La Stampa, ma ad alcuni principi cardine della nostra democrazia.
Lo sconcertante silenzio del governo
Ora, è vero che la Russia ci sta dando il suo supporto nella difficile lotta al Coronavirus, ma anche a ciò che si può ignorare per riconoscenza c’è un limite. Forse, dunque, una parola dalla Farnesina sarebbe stata opportuna. Invece niente. “Il linguaggio utilizzato dal portavoce della Difesa russo – ha commentato su Facebook, Fabio Martini, collega di Iacoboni – fa impressione. Ovviamente tutto è discutibile, compresi gli articoli di stampa, ma le minacce così pesanti no. Sono trascorse diverse ore dai comunicati russi e il silenzio del sindacato nazionale dei giornalisti e del governo italiano non può durare. Sicuramente una reazione ci sarà e comunque ogni minuto perso è un incoraggiamento alle minacce di chi è abituato a farle senza pagar pegno”. Ma, a quasi 24 ore dal fatto, dal governo non solo non è arrivata una protesta formale, ma neanche una parola di solidarietà.