La tentazione del Pd: garantire il debito con l’oro di Bankitalia
Quando intorno alle 5 di ieri pomeriggio, durante l’ennesima diretta Facebook, Matteo Salvini ha bocciato l’uso degli asset di Stato, riserve auree di Bankitalia incluse, come garanzia dell’emissione di debito, anche l’opinione pubblica ha iniziato a interrogarsi su questa ipotesi che in ambienti economico-finanziari comincia a vagliarsi da qualche giorno, cioè da quando si è compreso che l’asse del Nord non avrebbe mai dato il via libera ai Coronabond.
«Giù le mani dai monumenti, dai porti, dall’oro, dai risparmi degli italiani. Giù le mani… Non svenderemo il nostro futuro», ha detto Salvini bocciando una proposta lanciata dal senatore Pd, Luigi Zanda. «Siccome nessun prestito ci verrà mai concesso senza garanzie, per far fronte al nostro fabbisogno straordinario senza far esplodere il debito pubblico potremmo dare in garanzia il patrimonio immobiliare di proprietà statale, iscritti nel bilancio dello Stato per un valore che si aggira intorno ai 60 miliardi», ha dichiarato a Repubblica.
Ma in che cosa consiste realmente questa suggestione? Facciamo un passo indietro, al decreto Cura Italia. Le risorse stanziate ammontano a circa 25 miliardi di euro da finanziarsi tramite l’emissione di Btp. Ma, vista l’indifferenza dei partner europei, quale investitore avveduto comprerebbe titoli di un Paese che viaggia al limite del giudizio «spazzatura» da parte delle principali agenzie di rating?
Torna, dunque, a fare capolino l’ipotesi di un «collaterale pesante», cioè una garanzia reale che tranquillizzi i sottoscrittori, soprattutto quelli internazionali, dei buoni del Tesoro. Ritorna perché l’ultima volta fu proposta nel 2012 durante il Consiglio Ue nel quale si cercò, per fortuna invano, di commissariare l’Italia costringendola a emettere debito solo a fronte di beni pubblici. Allora fu la Finlandia, oggi è l’Olanda a cercare di metterci nell’angolo. E così ecco rispuntare la proposta «corroborata» anche da un nuovo asset in più: l’oro di Bankitalia che è un patrimonio pubblico. Si tratta di 2.452 tonnellate di oro che, ai prezzi di mercato, valgono 115 miliardi di euro. Si potrebbero, pertanto, emettere Btp a lunghissima scadenza (cioè con durata ultratrentennale) garantendone parte del valore con parte delle riserve auree o altri asset immobiliari inclusi Palazzo Chigi, Montecitorio o il Colosseo.
Resta da chiedersi perché non sia stata adottata in passato una soluzione simile. La risposta è semplice: è la stessa mossa che compie il padre di famiglia disperato quando porta gli ori della nonna al monte dei pegni. A fronte di un prestito su pegno sta rischiando di perdere un valore importante, ma soprattutto sta dimostrando di non essere molto solvibile. Cioè di non avere il requisito fondamentale per la concessione di qualunque prestito. Con il rapporto debito/Pil che causa recessione potrebbe superare quota 150%, quale agenzia di rating manterrebbe invariato il giudizio sull’Italia. Il rischio che quei beni posti a garanzia siano i primi a essere perduti in caso di una ristrutturazione del debito (automatica con l’arrivo di una qualsiasi Troika o dell’Fmi o dell’Ue) diventerebbe altissimo. Questa eventualità potrebbe bloccare l’emissione di titoli garantiti dall’oro. Bankitalia fa parte dell’Eurosistema e la Bce vieta l’alienazione di oro a fini di finanziamento moentario. Lo sa bene il leghista Claudio Borghi il quale, a fronte del riconoscimento della proprietà pubblica dell’oro, si vide opporre proprio dall’ex numero uno dell’Eurotower, Mario Draghi, un netto diniego al suo utilizzo.
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