Coronavirus, Carla a 77 anni rifiuta il ricovero: “Lascio il posto ai più giovani”
La signora Carla (il nome è di fantasia, tutto il resto no) ha 77 anni e una forza granitica che basterebbe, da sola, a spostare le montagne nelle quali vive. È valtellinese. E, come migliaia di lombardi, in questi giorni, ha preso il Coronavirus. È ricoverata all’ ospedale Eugenio Morelli di Sondalo.
All’ inizio le sue condizioni non erano particolarmente allarmanti, poi è peggiorata. Così, da un giorno all’ altro. Senza preavviso. Medici e infermieri hanno pensato di intensificarle le cure, ma lei ha detto no. Gliel’ hanno richiesto, l’ ha ribadito: no. Il suo rifiuto l’ ha scritto, l’ ha messo su un foglio perché fosse ufficiale e inderogabile. La signora Carla ha puntualizzato che lei preferisce lasciare il posto libero ai pazienti più giovani. Perché loro ne hanno più bisogno. All’ ex sanatorio Morelli (per inciso, quando fu costruito, negli anni Trenta, era il più grande d’ Europa) a Sondalo, storie come quella della signora Carla fanno in fretta il giro dei padiglioni. Ma non c’ è tempo per fermarsi a commentarle. Il più delle volte, le accoglie un sorriso tirato dietro la mascherina. Giù, all’ accettazione, è un via vai di barellieri.
Entrano e escono dal pronto soccorso. Le sirene dell’ ambulanza risuonano sui tornanti, assieme all’ eco delle pale dell’ elicottero giallo del Soccorso alpino. Qui tutti fanno la loro parte. Inservienti compresi: guanti in lattice e disinfettanti, le sale del Morelli brillano. Ci sono i dottori, gli operatori socio sanitari, i chirurghi, i tecnici di radiologia: a Sondalo ogni due giorni apre un reparto Covid-19. Fino a un paio di settimane fa non c’ era nemmeno un letto dedicato, oggi se ne contano duecento. È una corsa contro il tempo. I numeri, è vero, sono più contenuti rispetto ai grandi focolai regionali di Bergamo e Brescia: ma l’ antifona è la stessa. In ascensore la lista dei piani è scarabocchiata con un pennarello. Su quasi tutti i reparti c’ è una riga nera e la scritta Covid-19. Cardiologia, cure sub-acute: intere aree spostate altrove. La riconversione in ospedale per l’ emergenza è stata fatta nell’arco di un amen.
Ventun posti in terapia intensiva, tutti occupati, nei prossimi giorni diventeranno 35. Più di 160 ricoverati: 164, dice l’ ultimo bollettino. La maggior parte di loro è residente in provincia, però ci sono anche malati bresciani e lodigiani. «Al Morelli stanno facendo un lavoro straordinario», specifica l’ assessore alla Montagna del Pirellone, il leghista Massimo Sertori. E ha ragione. «La Valtellina è la zona meno colpita dal Coronavirus in Lombardia, ma non possiamo abbassare la guardia. Stiamo pagando il fine settimana folle con le piste da sci piene di turisti e una presa di coscienza del problema che, qui, è arrivata in ritardo». La pneumologa Sarah Barbuto, intanto, si arma di megafono e si rivolge a colleghi e pazienti che ha davanti.
«In tutta Italia stanno pensando a voi», afferma. E fa partire l’ inno di Mameli che riecheggia in corsia e rimbalza su Facebook. «La cosa che fa più male è vedere la gente che muore da sola», aggiunge un dipendente. Oggi arriveranno sessanta medici e infermieri russi, in Valtellina. «La dislocazione l’ ha decisa il Welfare regionale assieme alla Protezione civile, loro hanno una visione generale delle necessità», chiosa Sertori. Alloggeranno nei locali di un istituto scolastico, ma non sono mancati i privati che hanno messo a disposizione appartamenti sfitti e stanze inutilizzate. Si fa quel che si può. «Da Mosca arriveranno anche cento ventilatori, mille tute protettive e 200mila mascherine e un sistema mobile di stabilizzazione con dieci posti letto che potrà supportare fino a 40 pazienti», aggiunge Simona Pedrazzi, consigliere regionale del Carroccio, valtellinese. «L’ aiuto che stiamo ricevendo è importantissimo e non lo dimenticheremo».