Coronavirus, la denuncia di un medico: “Tamponi ai calciatori e non a noi, è assurdo”
Milano, 23 mar – Fa rabbrividire la rivendicazone di Nicola Mumoli, primario di Medicina dell’ospedale di Magenta, in Lombardia: “Una dottoressa al lavoro fra pazienti affetti da coronavirus si è ammalata. Dopo molte chiamate ai numeri nazionali le è stato negato il tampone. Ma le pagine delle cronache riportano le buone condizioni di calciatori, attori e politici: a loro il tampone è stato fatto“.
La denuncia del dottor Mumoli
Mumoli, dirigente dell’Unità operativa di Medicina dell’ospedale di Magenta, rivolge un’accorata missiva alla redazione del Corriere della Sera: “Da settimane, con immenso e costante sforzo dei miei collaboratori, da noi trovano cura oltre 130 pazienti affetti da Covid 19. L’impegno di ognuno di loro si concretizza in giornate di lavoro che ormai, è noto, disconoscono orari, riposo e recuperi, ma che soprattutto, si nutre inspiegabilmente di quella generosa follia che ci fa esporre ogni giorno allo stesso rischio da cui chiunque invece si difende”.
I numeri dei sanitari contagiati
“Sono attualmente 2.629 i sanitari contagiati — l’8,3% del totale dei colpiti — e tra essi 14 vittime” ricorda Mumoli. “Tutti hanno nascosto sotto una mascherina la propria identità, nessuno ha cercato visibilità, di loro nessuno ha parlato perché queste notizie «non fanno più rumore del crescere dell’erba», come scriveva Ungaretti”. E poi, passa a fare l’esempio di una sua collega: “Una mia collaboratrice, impegnata da subito in questa battaglia e con contatti quotidiani con pazienti affetti da Covid 19 disease, pochi giorni fa si è ammalata, manifestando sintomi e segni tipici della patologia virale; contattati più volte i numeri di emergenza nazionale, le è stato negato il tampone“. Circostanza che, come ben sappiamo, si è ripetuta più volte, in molte regioni d’Italia, dallo scoppio dell’emergenza.
Perché ai “vip” vengono fatti i tamponi e ai medici no?
Ma Mumoli non ci sta: “Invece oggi le pagine delle cronache riportano le buone condizioni di calciatori, attori e politici che esattamente come la mia collaboratrice hanno avuto «contatto con persone positive e sintomi da virosi» ma cui, a differenza della dottoressa, è stato eseguito il tampone e quindi formulato un corretto programma sanitario di controllo”. “Non conoscere, ma solo ipotizzare per la mia collaboratrice un contagio da Coronavirus, oltre a essere ragione di preoccupazione e angoscia, non le consente di applicare le linee guida in fieri sull’eventuale assunzione di farmaci antiretrovirali né di scegliere i corretti tempi del rientro al lavoro.
Grandi slogan, poca sostanza
“Inevitabile il pensiero di chiunque: grande solidarietà con il personale sanitario, striscioni ovunque, slogan buonisti sbandierati da tutti ma di fatto solo discriminazione e ipocrisia”. Mumoli chiude con un’amara constatazione che ci lascia tutti a riflettere: “Se si deve scegliere tra un calciatore e un medico non ci sono dubbi e ci sentiamo condannati a sparire sotto quella mascherina che indossiamo ogni giorno con grande fierezza, esercitando un lavoro che mai come ora consideriamo un privilegio”. Speriamo che questo appello venga raccolto da chi ha il potere di tutelare i nostri sanitari.
Ilaria Paoletti