Mezzo milione di tamponi spediti negli Stati Uniti: Italia beffata un’altra volta
Roma, 19 mar – Mezzo milione di tamponi per effettuare il test del coronavirus hanno preso il volo verso gli Stati Uniti con destinazione Memphis in uno dei principali hub della FedEx. La spedizione dei tamponi a Memphis consentirebbe loro, infatti, di essere rapidamente distribuiti in tutto il Paese in base al numero dei contagi. La notizia che circola ormai da ore sul sito di Fox News riporta come il generale David Goldfein avrebbe riferito al Pentagono che un C-17 sarebbe partito dalla base di Aviano, nella provincia di Pordenone, con un carico di tamponi. La notizia pare sia trapelata, secondo quanto riportato dal sito Defense One da una foto, che lo stesso sito ritiene autentica, postata su Instagram da uno dei membri dell’equipaggio partito dalla base situata in Friuli Venezia Giulia.
Altro che collaborazione
Il trasferimento è stato successivamente confermato dal portavoce del Pentagono, Jonathan Hoffman. Secondo il generale Paur Friedrichs, il medico del personale congiunto, si tratterebbe dei “tamponi che vengono utilizzati per raccogliere il campione dall’individuo che viene testato” aggiungendo che “questo è un ottimo esempio di come le nazioni stanno lavorando insieme per garantire che stiamo soddisfacendo la domanda globale”. Un esempio di collaborazione che, tuttavia, lascia molti dubbi soprattutto perché al 15 marzo sono stati effettuati in tutta Italia circa 125mila tamponi, quasi un quinto di quelli che hanno preso il volo per gli USA. Perché l’Italia si sarebbe privata di mezzo milione di tamponi visto che proprio nella nostra nazione i test vengono centellinati? Sono infatti molti i casi in cui persone sintomatiche non vengono testate per la positività al Covid-19 e vengono solo invitate a restare a casa in quarantena fiduciaria.
La necessità dei tamponi in Italia
Una delle denunce era partita addirittura dagli infermieri dell’ospedale Misericordia di Grosseto: “Siamo preoccupati per la nostra salute e per quella dei nostri familiari, abbiamo paura di quel che possiamo portare a casa una volta staccato il turno, inoltre non ci fanno il tampone, non è previsto neppure per coloro che sono stati a contatto con i medici positivi”3. Una denuncia questa molto importante che proviene da una categoria che rappresenta l’8% (quasi 2700 persone) di coloro che sono risultati positivi al Coronavirus. L’Italia, dunque, si conferma di nuovo una Nazione che fa gli interessi altrui. Era stato proprio Massimo Galli, responsabile di Malattie infettive all’ospedale Sacco di Milano, qualche giorno fa, a sottolineare l’importanza dei test anche agli asintomatici, così come fatto a Vo’ Euganeo che venerdì scorso ha registrato zero casi di positività, per “evitare il peggio in una zona di grande concentrazione di popolo come l’area metropolitana”.
Proprio su Vo’ Euganeo Andrea Crisanti, direttore dell’Unità complessa diagnostica di microbiologia della Asl di Padova, ma soprattutto coordinatore dell’indagine epidemiologica su Vò, aveva dichiarato che la Regione avrebbe effettuato la diagnosi a tutte le persone che hanno avuto molti contatti umani con persone potenzialmente infette e che non presentano sintomi col fine di individuare gli asintomatici in quanto considerati una straordinaria fonte di malattia. Stessa indicazione, poi, era giunta anche dal personale medico arrivato in Italia da Wuhan e che ha permesso alla Cina di contenere la pandemia. Del resto, come sottolineato da Galli, bisogna “trovare il modo di fare i tamponi. O abbiamo un problema con il denominatore, il numero totale dei positivi. Se facciamo il tampone solo a chi ha sintomi importanti selezioniamo solo la parte più severa dei colpiti, ci troviamo con una percentuale di letalità tra i ricoverati più alta della Cina, dove è stata del 10-15%. È meglio il modello veneto, se perseguibile. È simile a quello della Corea del Sud, che infatti ha avuto l’1% di decessi”.
Anche su quest’episodio, tuttavia, non ci aspettiamo grossi interventi dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio che, da quando è scoppiata la pandemia, pare essersi messo in quarantena anche dalla stampa. Dalla chiusura dei confini con la Slovenia e l’Austria, al blocco di Francia e Germania sull’export di mascherine: sono molti i casi in cui ci saremmo aspettati qualche dichiarazione da parte del ministro degli Esteri che, invece, è rimasto in silenzio.
Francesco Clun