Quella folla silenziosa di asintomatici: “Una formidabile fonte di contagio”
Basta un esempio nostrano per capire come viaggia sotto traccia il contagio del coronavirus. Siamo a Milano, zona centro. Una signora ha tutti e due i genitori anziani malati.
Dopo un ricovero e la loro situazione che è grave ma non gravissima, i due pazienti sono stati rispediti a casa. Uno dei due genitori è morto ieri. L’altro, che è in gravi condizioni, regge ancora assistito da due badanti e due infermieri. In questa situazione una badante ha una leggera febbre, la figlia pure e il genero anche. Sono stati tutti infettati? Nessuno lo sa, perché a queste persone è stato negato il tampone. Solo il coniuge ne ha diritto o chi presenta segni evidenti di malessere. Ma con ogni probabilità i due poveri anziani hanno già infettato almeno tre persone che possono circolare liberamente. Sono degli asintomatici che, come ha definito l’immunologo dell’Università di Firenze, Sergio Romagnani, «diventano una formidabile fonte di contagio».
A dar man forte a questa tesi spunta un nuovo studio pubblicato su Science da Jeffrey Shaman, epidemiologo della Columbia University e autore dello studio realizzato con i colleghi dell’Imperial College di Londra. Gli scienziati dicono che per ogni caso noto di Covid-19 ce ne sarebbero altri 5-10 non individuati.
LO STUDIO USA La ricerca è partita dal caso Cina dove, a fine gennaio, ben l’86% dei casi non sarebbe stato diagnosticato. Ma queste infezioni non documentate (che avevano sintomi lievi, limitati o assenti), sebbene meno contagiose, sono state la fonte di trasmissione per il successivo 79% dei casi certi. Quindi, in sostanza, per ogni caso confermato, ci sono probabilmente altre 5-10 persone con infezioni non rilevate. I ricercatori si sono concentrati sulla diffusione naturale del virus in Cina prima che il governo istituisse il divieto di viaggi e una politica di test aggressiva. Durante quel periodo, da dicembre dello scorso anno a fine gennaio, circa 6 casi su 7 non sono stati rilevati. Una situazione che sarebbe analoga a quella attuale negli Stati Uniti e in altri Paesi occidentali, dove i test non sono ancora ampiamente disponibili, hanno detto i ricercatori. «Se avremo 3.500 casi confermati negli Stati Uniti, potreste in realtà considerarne 35.000», ha dichiarato Shaman.
PIÙ TAMPONI Per gli studiosi, l’unico strumento da utilizzare, soprattutto agli inizi di un’epidemia, è l’uso dei tamponi «per ricostruire e spezzare sistematicamente le catene di contagio» ha detto Shaman «perché il tracciamento consente di isolare i contagiati non sintomatici e impedire che infettino altre persone, e di fornire loro cure tempestive (e sicure per il personale sanitario) nel caso manifestino i sintomi». Il caso Wuhan insegna. Dopo che nella città al centro del primo focolaio, sono iniziati i test a tappeto, il quadro è cambiato drasticamente. Col tempo, infatti, i tamponi hanno permesso di identificare circa il 60% dei soggetti positivi, rispetto al precedente 14%.
SORVEGLIANZA MASSIVA In Italia, il Veneto è l’unica regione che ha deciso di fare diagnosi a tutte le persone che hanno avuto molti contatti umani con potenziali infetti come il personale ospedaliero, le forze di polizia e i lavoratori più esposti. E l’immunologo Sergio Romagnani, dell’Università di Firenze chiede un cambio di prospettiva. Che, ieri, è stato raccolto dal presidente dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini: «Cominceremo da chi lavora nella sanità e proseguiremo sugli altri cittadini, per primi i lavoratori, secondo un piano modulato sulle varie province che ho chiesto al commissario ad Acta all’emergenza, Sergio Venturi». Stessa richiesta dalla Toscana.
SCOVARE GLI UNTORI Romagnani sostiene quindi che sia «cruciale scovare le persone asintomatiche ma comunque già infettate». A rischio sono in particolare medici e infermieri che, essendo esposti al virus, sviluppano un’infezione asintomatica continuando a veicolarla tra loro e ai loro pazienti.
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