Non illudiamoci: il rigorismo europeo è finito solo per favorire l’economia tedesca in difficoltà
Prima che le nostre orecchie e le nostre teste fossero inondate di informazioni e preoccupazioni dettate dall’emergenza coronavirus, non era difficile leggere di segnali preoccupanti sull’economia tedesca. Eppure anche questa volta per i tedeschi non cambierà nulla, anzi le sopraggiunte disgrazie, volgeranno a loro favore.
È bene ricordare che nel 2019 il Pil della Germania è cresciuto soltanto dello 0,6% la crescita più bassa degli ultimi sei anni. Molto meno dell’1,5% del 2018 e 2,5% del 2017. I motivi vanno ricercati nel settore manifatturiero la cui produzione è diminuita del 3,6% superando, al ribasso, le stime già negative degli analisti, che prevedevano un calo dello 0,2%. Ad aver contribuito al declino, è stata soprattutto la debolezza dell’industria automobilistica e il calo delle esportazioni dovuto al generale rallentamento del commercio mondiale conseguente ai dazi tra Stati Uniti e Cina.
I teutonici difensori dell’austerità e del rigore, con molto imbarazzo, iniziavano già a parlare di flessibilità e maggiore spesa pubblica per contrastare la crisi inattesa. D’altra parte i loro conti pubblici grazie al calo della spesa per interessi e alle robuste entrate tributarie registrano 13,5 miliardi di surplus che, senza i vincoli di Bruxelles, potrebbero sostenere crescita e occupazione, le loro.
Ma adesso c’è l’emergenza coronavirus e tutto il cuore dell’Europa produttiva ne è colpito duramente: la Germania, così come l’Italia e la Francia soffriranno ulteriormente dei gravi contraccolpi economici che l’emergenza sta portando. La UE che sulla inevitabile crisi economica non vuole metterci risorse proprie, che proprio “proprie” non sono, annuncia che lascerà gli Stati liberi di fare come pare a loro, chiudendo un occhio sul rispetto dei parametri. Chiaramente il linguaggio usato dalle eurotruppen è l’euroburocratese. «Gli Stati devono sentirsi liberi di adottare le misure a sostegno dei settori più colpiti e alle persone, concederemo la massima flessibilità sul Patto di Stabilità e gli aiuti di Stato», ha dichiarato Ursula von der Leyen a cui si aggiungono Valdis Dombrovskis «Non stiamo sospendendo il patto di stabilità e crescita, ne stiamo solo usando la massima flessibilità prevista» e il nostro Paolo Gentiloni «Gli Stati possono fare scelte di bilancio per sostenere imprese in difficoltà, evitare riduzioni dell’occupazione, prendere tutte le misure necessarie».
Manco lo avessero saputo prima i tedeschi prendono la palla al balzo e preparano l’artiglieria. Dapprima quella leggera annunciando un pacchetto da 12,5 miliardi di euro fino al 2024 per contrastare i danni immediati sull’economia e per compensare i dipendenti delle aziende che ricorreranno all’orario ridotto. Subito dopo caricano i loro bazooka: il ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz, annuncia infatti un piano di prestiti illimitati, con una disponibilità almeno di 550 miliardi di euro, per aiutare le imprese tedesche “Non esiste un limite massimo, questo è il messaggio più importante. Questo è il nostro bazooka”, ha detto Scholz, descrivendo così un piano di aiuti più importante di quello messo in atto durante la crisi del 2008.
Si prevedono tempi duri per il nostro sistema produttivo: se i tedeschi investono, anche se in deficit, il 15% del loro PIL per l’Italia sarà difficile controbattere. I 25 miliardi annunciati dal nostro Governo, ancorché suscettibili di incrementi, difficilmente supereranno il 2% del nostro reddito. In un sistema monetario dove la BCE oltre che minare il nostro mercato finanziario con dichiarazioni sprovvedute ed inopportune, continua a non immettere moneta per tenere bassa l’inflazione, come da desiderio della Germania, non ci sarà competizione. Il rigorismo europeo che ha negato alle nostre aziende gli aiuti di Stato crolla in nome delle ritrovate esigenze dell’economia tedesca. Auf Wiedersehen.