Bergamo flagellata dal coronavirus: 71 medici infettati, le ragioni del dramma
La conta è impietosa: 61 morti, ieri, sul territorio comunale di Bergamo (46 ufficiali e altri 15 annunciati dagli ospedali), contro otto nello stesso giorno di un anno fa.
“E mercoledì erano stati 51, c’ è un divario enorme rispetto alle statistiche del 2019 – dice l’ assessore all’ Anagrafe Giacomo Angeloni -. È una situazione terribile”. Lo racconta al Corriere della sera. Gli uffici cittadini registrano tutti i deceduti del territorio, quindi anche quelli che vengono da fuori provincia a curarsi all’ ospedale Papa Giovanni o alle Cliniche Humanitas Gavazzeni: quei numeri diventano così il termometro più immediato dello strazio seminato dal coronavirus. E si riflettono nelle statistiche della Regione, altrettanto drammatiche: Bergamo è la provincia più contagiata d’ Italia, con 2.136 casi, che avanzano di 300 ogni ventiquattrore da quattro giorni consecutivi. I morti sono stati 191 dalla tarda serata di domenica 23 febbraio a ieri: dieci al giorno. E le camere mortuarie dei due ospedali non bastano più, tanto che il Tempio di Ognissanti, dentro il cimitero, ospita una media di 40 feretri al giorno.
Ma perché Bergamo è stata aggredita così dal Covid-19? Il dubbio è che ci sia stata una sottovalutazione dei sintomi di alcuni pazienti, che erano arrivati all’ ospedale di Alzano (alle porte della città) prima che esplodesse l’ allarme a Codogno. Si è creato così un focolaio devastante tra Nembro, Alzano, Albino e Villa di Serio? A Villa viveva la prima vittima, Ernesto Ravelli, 83 anni, morto nella tarda serata del 23 febbraio dopo il trasporto d’ urgenza al Papa Giovanni proprio da Alzano, dov’ era stato ricoverato il 21: il giorno dopo il test positivo sul paziente 1 di Codogno. Franco Orlandi era un ex camionista di Nembro, 83 anni: era stato ricoverato già sabato 15 febbraio nello stesso ospedale, in Medicina, dov’ è sempre rimasto, ma l’ esito del tampone risale al 23, otto giorni dopo. Era deceduto nelle 48 ore successive. L’ Azienda socio sanitaria territoriale Bergamo Est non ha mai precisato nulla in merito. Nemmeno sul caso di un rappresentante di commercio, anche lui di Nembro, che ha raccontato di aver avuto febbre fin dal 17 febbraio, di essere stato ricoverato ad Alzano tra il 20 e il 21, e di aver aspettato tre giorni prima di essere sottoposto al tampone, positivo. Molto presto, nella stessa struttura, era stato contagiato anche il primario del pronto soccorso. E nonostante tutto, Regione e governo hanno tergiversato per 15 giorni sull’ istituzione di una zona rossa, mai arrivata.
Giorno dopo giorno il contagio è deflagrato proprio in quell’ area, la Bassa Val Seriana, per poi spostarsi in città e in Val Brembana. Fino alla conta impietosa degli ultimi giorni e a una paura senza fine. “Quando tutto sarà passato – dicono gli imprenditori – sarà un dopoguerra”.