Peggio della quarantena da coronavirus c’è solo il libro delle sardine

Acquisti l’ebook a 7,99 euro (mica pochi) speranzoso di aver trovato finalmente la Bibbia per decifrare le Sardine. Lo sfogli velocemente e ti cade l’occhio all’ultimo capitolo, intitolato “Il libro”.

È già strano che la presentazione di un’opera sia in fondo e non all’inizio, ma almeno c’è scritto quel che uno dovrà aspettarsi di leggere. I propositi sono ottimi. All’interno si troverà “tutto ciò che finora è apparso in maniera slegata sulla teoria e le azioni che hanno dato vita a uno dei fenomeni sociali più interessanti degli ultimi anni”. Scopriremo cosa faranno i pesciolini dopo aver riempito le piazze, come faranno a “non disperdere le energie emerse finora” e soprattutto “dove sono i contenuti”. Visto il vuoto programmatico prodotto in tre mesi di apparizioni quotidiane in tv, uno non attende altro. “Finalmente Santori&co. si sono messi alla scrivania a buttare giù due idee diverse dall’abolizione dei dl Sicurezza, dalla generica ‘lotta all’odio’ e dal daspo social”, sorridiamo. L’attesa è trepidante. Il risultato deludente.

Per leggere il libro edito da Einaudi bastano tre ore, non più (non merita il vostro tempo neppure in quarantena da Covid-19). La profondità di analisi è minima, per non dire nulla. Ed è pure una mezza “fregatura”: checché ne dica la postfazione, non si capisce cosa le Sardine faranno da grandi e non si trova neppure mezza traccia di sostanza politica. Solo narrativa. Un banale racconto dei fondatori, come se per mesi i tanto amati media non avessero descritto per filo e per segno ogni movimento, post o starnuto. Di nuovo si scopre solo che Santori è un ritardatario. Ci pare un po’ poco.

Il titolo del libro è: “Le sardine non esistono”. L’ossessione di fondo è sempre Salvini, e in linea incidentale pure Giorgia Meloni. I quattro autori (Mattia Santori, Giulia Trappoloni, Roberto Morotti, Andrea Garaffa) criticano il “populismo”, ma soprattutto quello di destra che produce lo “sgretolamento del tessuto sociale”. Ricordano un Paese che si era fatto “intollerante, omofobo, misogino, razzista”. In pratica sull’orlo di una dittatura. Un’Italia immaginaria dove “l’ignoranza e l’egoismo, fomentati ad arte dalla cattiva politica, erano assurti a valori”. Una “deriva inarrestabile”, fermata – guarda caso – solo dal loro movimento che ha l’obiettivo di “innovare” il linguaggio politico e “incentivare la partecipazione”.

Che poi, si scopre nel libro, le sardine un movimento non lo sono. I pesciolini preferiscono definirsi un “fenomeno sociale”, o meglio un “moto di riappropriazione di pensieri, di idee di società” (e cioè?). Non diventeranno un partito, questo almeno lo promettono. Ma non partoriscono ancora un programma, né sociale né politico. Buio totale. Ripetono solo i punti già esposti nelle varie manifestazioni (per fortuna non l’Erasmus da Nord a Sud) e tre proposte contro lo “squadrismo in rete”. Citano vagamente la lotta alle mafie, la sicurezza sul lavoro e la pace. Il resto è un insieme di frasi a volte assurde e un auto-incensarsi per aver organizzato piazze più grosse di quelle leghiste. La “mappa valoriale”, invece, è talmente fumosa che ve la risparmio.

“L’Italia – assicurano – è nel mezzo di una rivolta popolare pacifica che non ha precedenti negli ultimi decenni”. In realtà questi giorni ci stanno dimostrando che le Sardine sono un fenomeno sì, ma prevalentemente mediatico. Finita l’attenzione dei media (ora concentrati sul virus), ridimensionata la portata delle sardine. In questo, il libro è una prova schiacciante: se avessero avuto qualcosa di profondo da dire, l’avrebbero messo nero su bianco. Ma non l’hanno fatto. Almeno avrebbero potuto spiegarci bene la storia del bambino autistico con la palla da basket.

Piccolo appunto. I quattro fondatori raccontano commossi la camminata realizzata a gennaio da Castiglione dei Pepoli a Rasora, “il più piccolo borgo d’Italia dotato di una biblioteca”. Ne vanno fieri perché in tanti sono andati a portare il verbo delle sardine sulle montagne dell’Appennino e nelle periferie. “Il messaggio è chiaro – scrivono – ove esistano presidi culturali, per quanto microscopici, al populismo non è concessa la possibilità di mettere radici”. Risultato finale: a Castigione dei Pepoli il centrodestra ha conquistato più del 51% dei voti.

il giornale.it

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